Estorsione e metodi mafiosi: il ruolo di «Don Massimo»

«Non sono un santo, ma nemmeno un boss», si difende Sorrentino, al centro dell’inchiesta
La pizzeria I tre monelli - Foto © www.giornaledibrescia.it
La pizzeria I tre monelli - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Seimila pagine di atti, una serie infinita di reati contestati e l’aggravante dell’associazione mafiosa che pesa come un macigno in vista del processo.

«Se fossero tutti veri questi reati perché non mi hanno arrestato?», si chiede Massimo Sorrentino, il proprietario della pizzeria Tre Monelli in città chiusa per trenta giorni su ordine del questore nell’ambito dell’inchiesta per estorsione, droga, riciclaggio e incendio doloso che coinvolge venti persone. Sorrentino, che al telefono alcuni coindagati chiamavano «Don Massimo», è ritenuto il punto di riferimento del gruppo, capace di tessere rapporti a tutti i livelli della società, arrivando anche al mondo della politica locale.

«Ma quale boss, non sono boss nemmeno a casa mia», racconta l’uomo che, stando all’indagine, diceva di avere contatti importanti con clan calabresi. «Conosco gente anche più cattiva di chi ha commesso la strage Cottarelli» sono le sue parole in una telefonata agli atti dell’inchiesta del sostituto procuratore Paolo Savio.

«Ne conosco alcuni arrivati qui con la fame come me, ma quelle cose sui calabresi le dicevo per proteggermi, per evitare che certa gente venisse a rompermi le scatole». Al gruppo viene contestato anche un tentativo di estorsione da trentamila euro ai danni di un aggiudicatario di un immobile all’asta.

«Era di un commercialista di calabresi che ora sono arrabbiati. Se non vuole avere ritorsioni mi dia il denaro», il tono della minaccia. Sorrentino rigetta però ogni accusa «Non sono uno stinco di santo, ma nemmeno quello che vogliono dipingermi», e poi aggiunge: «Ho prestato soldi e quando non sono rientrati ho sempre detto: "amen, li ho persi", ma con le estorsioni non c’entro. Dicono che abbia chiesto quindicimila euro a Frank Seramondi per liberarlo dagli spacciatori fuori dal locale prima che lo uccidessero, ma la mia era solo una battuta».

Più cauto il suo legale, l’avvocato Fausto Pasotti: «Devo leggere le carte, le contestazioni sono tante». Nel locale di via Don Vender gli agenti della Squadra mobile hanno recuperato due fucili a canne mozze e due pistole a tamburo.

Finito in carcere, Massimo Sorrentino davanti al gip ha negato che fossero sue, mentre il suo dipendente si è accollato la proprietà di tre delle quattro armi. Su una resta un punto interrogativo. «È riferibile ad un soggetto intraneo alla gestione della pizzeria», ha stabilito il gip che, senza prove, ha scarcerato il proprietario dei Tre Monelli.

«C’è chi mi ha denunciato per estorsione quando era stato lui a minacciarmi puntandomi una pistola alla testa fuori dalla pizzeria. Di cosa stiamo parlando?». Poi scagiona l’ispettore di Polizia in forza alla Questura e coinvolto nell’inchiesta perché, secondo i suoi colleghi che hanno condotto le indagini, in cambio di tassi favorevoli sui prestiti di denaro avrebbe fornito dati sensibili. «Era un cliente e l’ho aiutato quando era in difficoltà - conclude Sorrentino -. Gli ho cambiato qualche assegno perché non arrivava a fine mese, ma senza mai chiedere un favore e lui ne ha mai fatti».

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