Perché chi non si vaccina mette a rischio anche chi lo ha fatto

Il virologo Arnaldo Caruso: «Se il virus circola produce varianti aggressive da scongiurare per l'autunno»
Il centro vaccinale allestito in via Caprera, a Brescia - © www.giornaledibrescia.it
Il centro vaccinale allestito in via Caprera, a Brescia - © www.giornaledibrescia.it
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Ma perché, se la maggior parte delle persone è vaccinata, e se il vaccino anti Covid funziona, io che non voglio fare l’iniezione dovrei sentirmi in colpa o essere privato di parte della mia libertà? Al massimo, in caso di contagio, sarei io solo ad ammalarmi, perché chi si è immunizzato dovrebbe essere al sicuro. È la domanda - talvolta posta anche come provocazione - che in queste settimane molti sottopongono al dibattito pubblico, specie da quando la politica sta definendo quali porte potrà varcare chi non sarà a breve munito di green pass.

Non si tratta però di un enigma irrisolvibile, anzi. La spiegazione non solo c’è, ma è anche su più livelli e, dunque, piuttosto articolata. Diciamo che la «versione breve» si può riassumere in due frasi: se un virus così aggressivo continua a circolare, muta. E se muta, sviluppa una variante ancor più coriacea che rende dunque più fragile anche la «barriera difensiva» di chi ha scelto di immunizzarsi.

Il rischio varianti

Il concetto chiave, nella versione più approfondita, è questo: «Se il virus non riesce a penetrare nell’organismo, non ha modo di mutare. Proprio quelle persone in cui trova ospitalità e nelle quali alberga fanno da veri incubatori, perché hanno una scarsa opposizione, esattamente come gli immunodepressi. Significa, in sostanza, che più il virus circola e più ha modo di mutare». La voce è quella del virologo Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di Virologia, nonché docente all’Università di Brescia e direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Asst Spedali Civili. Che, quindi, alla considerazione iniziale ribatte: «Si capisce così chiaramente che, date queste premesse, non si ammalerà solo chi ha scelto di non vaccinarsi, ma il rischio è che diffonda un’infezione più grave anche a tanti altri». Anche perché, il Sars-CoV-2 «muta molto e molto in fretta». Non solo.

Al momento, l’asticella che segna la percentuale delle persone vaccinate è ancora troppo bassa, il che apre ad altre due considerazioni. La prima: se anche solo il 30% (per restare sul dato lombardo) o il 60% (per restare su quello nazionale) diviene positivo e contrae il coronavirus, con la possibilità di fare appunto da «incubatore» per una ulteriore variante, il sistema ospedaliero andrebbe incontro ad una nuova emergenza. Anche solo con un nuovo aumento dei ricoveri (non necessariamente in Terapia intensiva), il contraccolpo porterebbe a ricadute di non poco conto non solo per chi ha scelto di non vaccinarsi (per rispondere ancora alla domanda iniziale) ma per tutta la popolazione. Perché le altre prestazioni procederebbero a rilento, facendo così mancare un servizio sanitario tempestivo anche a chi soffre di altre patologie.

La soglia

La seconda considerazione si intreccia con i numeri o, meglio, con l’obiettivo di cui si parla da un anno a questa parte: la famosa immunità di gregge o di comunità. Spiega il professor Caruso: «Non siamo neppure vicini alla soglia di relativa tranquillità, perché in Italia abbiamo coperto solo il 40% circa della popolazione. Per parlare di immunità bisognerebbe raggiungere almeno il 90%».

Come mai, allora, soprattutto in Lombardia, si guarda al 70% come una meta da sospiro di sollievo? Non è una soglia inventata, ma vale per tutte le altre infezioni, non per il Sars-CoV-2. «Dal morbillo alla varicella il 70% è sufficiente, ma questo è il virus più infettante conosciuto al mondo, non ha simili nella storia della medicina, è aggressivo e si diffonde con poco: basti pensare a quanto rapidamente si è propagato con le riaperture». Ecco perché, ribadisce il virologo, «bisogna correre e mettere il prima possibile tutti in sicurezza, almeno gli over 50: per prevenire una nuova ondata d’autunno, con il 60% della popolazione contagiata e, in caso di altre varianti, la stessa emergenza dello scorso anno».

 

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