Per 31 anni accanto a Cito: «Non è facile ora che non c’è più»

Ignazio Okamoto è morto a 54 anni, dopo tre decenni in coma in seguito ad un incidente. Tutta la famiglia lo ha assistito fino alla fine
PER 31 ANNI ACCANTO A CITO
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È stato un addio lungo 31 anni. Dalla primavera del 1988 a venerdì all’ora di pranzo, quando il cuore di Ignazio Okamoto, Cito per tutti, si è fermato per sempre all’età di 54 anni. Da 31 era in stato vegetativo nella casa di famiglia a Collebeato, accudito dalla madre Marina e dal padre Hector, messicano di nascita ma giapponese di origini, che si è dedicato completamente al figlio vittima di un incidente stradale.

È la notte della festa del papà, tra il 19 e il 20 marzo 1988, quando l’auto sulla quale viaggiano cinque amici bresciani esce di strada lungo la A22 all’altezza di Nogarole Rocca. Tre giovani si salvano, uno, Nicola Luigi Mori, 22enne di Lumezzane, muore sul colpo mentre Ignazio Okamoto viene ricoverato in ospedale in coma. E da quel giorno non sarà mai più cosciente. «Fin da subito ci hanno detto che non si sarebbe più svegliato» racconta oggi mamma Marina davanti alla bara del figlio, poche ore prima del funerale celebrato nel pomeriggio di ieri. «È morto venerdì all’improvviso, i parametri erano buoni e non ce lo aspettavamo». Due genitori ed un fratello più grande, Fabio, preparati al peggio da 31 anni, ma comunque mai abbastanza per dire addio ad un figlio e un fratello che hanno visto diventare adulto ed invecchiare, immobilizzato in un letto.

«Mio marito ha lasciato il lavoro e ha dedicato tutta la sua vita a Ignazio. Nostro figlio per due anni è stato in una struttura a Lonato e poi lo abbiamo portato a casa dove è rimasto tutto questo tempo» è il pensiero della signora Marina. «Da 31 anni siamo isolati dal mondo. Ora - aggiunge - non sarà facile rendersi conto che non c’è più». Papà Hector, segnato dal dolore e dalla sofferenza di questi 31 anni, nel 2003 aveva ricevuto il Premio Bulloni per l’impegno a servizio del figlio. «Lo ha seguito con la pazienza giapponese, con un amore inimmaginabile» dicono gli amici di famiglia che hanno continuato a frequentare la casa come quando erano ragazzi. E che oggi ricordano: «A volte è capitato che dagli occhi di Cito scendessero delle lacrime. Abbiamo sperato nel miracolo».

Nella camera ardente di Collebeato, con lo sguardo fisso sulla bara chiara, a lungo si è fermato anche Alessandro, che a 22 anni era al volante dell’auto finita fuori strada nella primavera del 1988 sull’autostrada del Brennero. «Ogni giorno in questi 31 anni gli è passato davanti agli occhi il film drammatico di quanto accaduto» assicura chi lo conosce. «È sempre stato vicino alla famiglia di Cito e i genitori mai hanno pensato di incolparlo per qualcosa» spiegano gli amici. Tanti sono appassionati di baseball, sport che proprio il padre di Ignazio aveva fatto nascere a Brescia.

«Aveva portato da un viaggio i guantoni e all’epoca e nel cortile di casa in via Corsica noi bambini avevamo iniziato a giocare. Poi ci siamo trasferiti al campo di via Scuole» ricorda Stefano Sbardolini, responsabile Cus per la sezione baseball. «Quella domenica mattina avremmo dovuto giocare una partita a Piacenza, ma nella notte si era verificato l’incidente di Cito, suo padre era corso all’ospedale e - ricorda Sbardolini- decidemmo di rinviare la gara». Il 54enne è stato sepolto con la maglia della squadra bresciana di baseball e nel corso del funerale una nipote ha ricordato la forza e il grande esempio dei genitori di Ignazio Okamoto. «Mai abbiamo pensato all’interruzione delle terapie e al fine vita» assicura la famiglia. «Negli ultimi tempi - ammette mamma Marina - avevamo però il pensiero fisso di quello che sarebbe potuto accadere a Ignazio senza di noi, perché io e mio marito stiamo invecchiando e avevamo paura per il suo futuro».

 

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