Omicidio Bailo, il caso è chiuso: niente ricorso in Cassazione
Il caso è chiuso. Senza il terzo grado di giudizio. La Procura generale di Brescia ha infatti deciso che non presenterà ricorso in Cassazione contro la sentenza a 16 anni di carcere, pronunciata dal gip e poi confermata in appello, a carico di Fabrizio Pasini, l'ex sindacalista della Uil che il 28 luglio 2018 uccise Manuela Bailo, sua collega e amante.
Una volta ammazzata, «provocando con un'arma bianca la sezione completa dell'arteria carotide destra» come ricostruito dagli inquirenti, l’uomo abbandonò il cadavere in una fossa di raccolta liquami nelle campagne cremonesi di Azzanello, per poi andare due settimane in vacanza in Sardegna con moglie e figli. Condanna a 16 anni. L’intero processo è ruotato attorno all’aggravante della premeditazione. Contestata dal pm Francesco Milanesi nel corso delle indagini, ma mai riconosciuta in aula. Non nel processo di primo grado celebrato in abbreviato e nemmeno in appello. Elemento che ha portato, per un mero calcolo matematico, alla condanna a 16 anni rispetto ai 30 chiesti dalla pubblica accusa tanto in primo quanto in secondo grado.
Per i giudici Fabrizio Pasini non ha organizzato l’omicidio di Manuela Bailo al termine di quella notte passata tra la casa ad Ospitaletto della madre dove poi compirà l’omicidio, e il Pronto soccorso del Civile dove va, accompagnato da Manuela, per un colpo subìto alle costole a causa di una caduta dal divano, ma che secondo i giudici «aveva anche lo scopo di riuscire a liberarsi della ragazza che lo ha invece aspettato per tutto il tempo nella sala d’attesa, rifiutandosi evidentemente di ritornare a casa perché aveva la ferma volontà di trascorrere la notte con l’imputato».Senza premeditazione. In primo e secondo grado il caso era stato definito: «Una risoluzione criminosa maturata in via estemporanea all’esito della lunga notte, non preceduta da una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso». «Il delitto trova plausibile spiegazione nell’incapacità dell’uomo di risolvere la situazione in cui è venuto a trovarsi la notte del 28 luglio 2018, quando, dovendo tornare a casa dalla propria moglie, dopo aver tentato invano di convincere Manuela ad andarsene, non avendo la forza di affrontarla, non ha trovato altra soluzione che ucciderla» sono le parole usate dal gup Riccardo Moreschi nelle motivazioni della sentenza di primo grado.
Per l’accusa e gli avvocati di parte civile invece Pasini aveva premeditato tutto. E per questo «avrebbe preventivamente predisposto per l’esecuzione dell’omicidio i locali dell’abitazione della madre, collocandovi stracci e altri strumenti destinati alla cancellazione delle tracce di sangue, si sarebbe informato sui tempi di permanenza degli zii abitanti nello stesso stabile e avrebbe attirato la persona offesa nella abitazione con il pretesto di trascorrere insieme il fine settimana».
Passaggi che davanti al giudice di primo grado e in appello non hanno assunto la consistenza di prove convincenti a sostegno dell’esistenza dell’aggravante della premeditazione. E ora per la Procura generale non ci sono più spazi per un nuovo ricorso in Cassazione.
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