Morte di Francesca Manfredi: «Nessun dubbio sulle colpe di chi iniettò la dose fatale»

I giudici della Corte d'Assiste motivano nella sentenza la condanna di Paloschi: «Sapeva che avrebbe potuto provocarle effetto lesivo»
Francesca Manfredi aveva 24 anni - © www.giornaledibrescia.it
Francesca Manfredi aveva 24 anni - © www.giornaledibrescia.it
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Un ribaltone giudiziario motivato in 53 pagine: «Questa corte non ritiene che vi siano elementi fattuali e giuridici per discostarsi dal consolidato indirizzo seguito dalla Cassazione, secondo il quale risponde di omicidio preterintenzionale "colui che inietti ad una persona per via endovenosa sostanze stupefacenti cagionandone la morte, a nulla rilevando il consenso a farsi iniettare la droga"». Lo scrivono i giudici della Corte d’Assise d’appello di Brescia nella sentenza di condanna a sette anni e quattro mesi nei confronti di Michael Paloschi, il 35enne che nella notte tra il 22 e il 23 agosto 2020, iniettò una dose di eroina a Francesca Manfredi, che a 24 anni morì in casa dopo una notte tra alcol e droga.

Paloschi in primo grado era stato assolto e allo stesso tempo scarcerato dopo dieci mesi in cella.

Per i giudici di secondo grado il giovane era a conoscenza dei rischi ai quali sarebbe andata incontro l’amica, che era al primo buco della sua vita. «Paloschi si era certamente rappresentato la probabilità che iniettando l’eroina nella giovane Manfredi avrebbe potuto provocarle effetto lesivo e può senz’altro affermarsi che egli fosse ben consapevole del fatto che la ragazza non aveva prima d’ora assunto in vena l’eroina e che nei giorni e nelle ore precedenti ella aveva abusato di sostanze alcoliche stupefacenti».

Nessun dubbio poi da parte della Corte d’Assise d’appello di Brescia che la 24enne sia morta proprio per quella dose di eroina e che ad iniettarla sia stato l’amico che era in casa con lei e con un’altra ragazza assolta invece, in primo grado e in secondo, dall’accusa di omissione di soccorso. «Francesca Manfredi era destrorsa e non è ragionevole ritenere che lei stessa abbia potuto iniettarsi la sostanza nella vena del gomito destro tenendo la siringa nella mano sinistra» scrivono i giudici.

E rispetto all’assoluzione in primo grado di Michael Paloschi, la Corte nelle motivazioni della sentenza d’appello fa notare: «Il primo giudice ha erroneamente considerato idoneo il consenso della vittima ad escludere l’antigiuridicità dell’azione commessa da Paloschi, sul mero presupposto che Francesca Manfredi, in ragione soprattutto della quantità esigua della sostanza assunta e della mancanza di danni conseguenti alle pregresse assunzioni di stupefacente, non avrebbe percepito il pericolo di poter morire». In sintesi, il fatto che Francesca volesse assumere eroina non mette al riparo dalla condanna chi le ha praticato il buco nel braccio.

«Non può trascurarsi il fatto - conclude la sentenza - che Paloschi aveva raccomandato all’altra ragazza presente in casa con lui e Francesca - nella notte di eccessi - di non raccontare agli operanti chiamati solo al mattino dopo quanto accaduto. Ovvero l’iniezione di eroina a Francesca Manfredi “per paura - disse - di finire in carcere ed essere accusato di omicidio». 

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