«La morte di Francesca Manfredi non poteva essere prevista»

Il buco gliel’ha fatto sicuramente lui. Ma lui della sua morte non deve risponderne. Perché è il giudice dell’udienza preliminare Christian Colombo a spiegarlo. Lo fa attraverso le motivazione con le quali ha assolto Micheal Paloschi dall’omicidio preterintenzionale di Francesca Manfredi, la 25enne trovata senza vita il 23 agosto di due anni fa nel suo appartamento alle Fornaci, stroncata da un mix di alcol, ketamina, antidepressivi e eroina.
Cosa ha scritto il giudice
Dopo aver descritto quei tre giorni di sballo vissuti dalla giovane vittima, dall’imputato e da un’amica (a processo per omissione di soccorso ed assolta a sua volta), il giudice dedica la parte predominante della sentenza alla posizione di Paloschi.
Dopo aver escluso che il «buco» possa essere considerato «lesione», quindi l’azione illecita voluta alla quale ha fatto seguito il decesso quale evento non desiderato, Colombo scarta anche l’ipotesi che di «lesione» si possa parlare con riferimento «all’ordinario effetto dell’eroina» che provoca «un’alterazione del normale funzionale dell’organismo che, per la tenuità e la temporaneità del rallentamento delle funzioni respiratorie e cardiache, non pare assumere una consistenza sufficiente per poterla apprezzare in termini di "lesioni personali”».
«Mancavano segnali di pericolo»
Per il gup era necessario inoltre che Paloschi prevedesse «che il suo comportamento potesse determinare un pregiudizio all’integrità personale» di Francesca e che agisse «per o anche a costo di provocarlo», cosa che il 34enne, per il giudice non ha fatto. La 25enne aveva chiesto all’amico di farle il buco. Voleva provare lo sballo - hanno riferito i testimoni. Era consenziente, «consapevole»: il suo consenso all’iniezione di eroina e alle sue prevedibili conseguenze è scriminante - dice il giudice - «esclude l’antigiuridicità delle lesioni causate da Paloschi».
Il gup ha affrontato anche il tema dell’eventuale colpa di Paloschi, per escluderla. Il 35enne aveva da poco testato la droga su di sè e non aveva avuto effetti collaterali. Sapeva che gliene avrebbe iniettato un quantitativo esiguo e che l’amica nelle ore e nei giorni precedenti non si era «bucata».
«Mancavano segnali di pericolo» che avrebbero dovuto fermare la mano di Paloschi. «È vero che i due avevano fatto uso di molte sostanze e che la giovane in un’occasione - conclude il giudice Colombo - aveva avuto un malessere, ma gli aspetti che rilevano sono i seguenti: la donna non aveva riportato visibili danni dalle precedenti assunzioni di altre sostanze. Circostanza che esclude la possibilità di percepire imminenti gravi pericoli per la vita».
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