Maxi inchiesta Leonessa, anche l’appello scarta il metodo mafioso

Condanne più pesanti per alcuni degli imputati di associazione finalizzata ad una frode al Fisco da 20 milioni
Sentenza in appello per la maxi inchiesta Leonessa
Sentenza in appello per la maxi inchiesta Leonessa
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Pene più pesanti per alcuni imputati, ma non per effetto dell’aggravante mafiosa. L’ipotesi contestata dalla procura della Repubblica in primo grado e riproposta nell’atto d’appello, ma non coltivata dal sostituto procuratore generale Enrico Ceravone, che l’ha abbandonata ieri nel corso della sua requisitoria, è stata scartata anche dai giudici della Corte d’appello. Il collegio di secondo grado ha sì rideterminato e aggravato le condanne a carico di alcuni degli undici imputati finiti a dibattimento nell’ambito della maxi inchiesta Leonessa, ma ribadito il loro no allo stampo mafioso.

Cosa cambia

Per effetto della sentenza di ieri Rosario Marchese, ritenuto dall’accusa deus ex machina dell’associazione per delinquere finalizzata ad una massiccia frode fiscale, ha visto lievitare di altri 4 mesi la condanna a sedici anni di reclusione che gli era stata inflitta dai giudici di primo grado. Più sensibile l’aggravamento di pena per Alessandro Scilio, cui l’appello ha aggiunto cinque anni portando il conto a sette anni di carcere oltre a 5mila euro di multa. Dopo aver messo in continuazione una precedente condanna, i giudici hanno rideterminato il computo presentato a Gianfranco Casassa in 7 anni e mezzo di carcere e, dopo aver disapplicato la recidiva, inflitto a Giovanni Interlicchia 3 anni e 8 mesi di reclusione.

Per il resto il collegio (presidente Antonio Minervini) ha confermato in toto la sentenza di primo grado: i 7 anni e 8 mesi ad Angelo Fiorisi, ritenuto tra le menti dell’organizzazione, i 7 anni e 4 mesi ad Antonella Balocco; i 7 anni a Corrado Eugenio Savoia, i 4 anni a Giuseppe Arabia, i 4 anni e 7 mesi a Simone Di Simone, i 2 anni a Alessandro Scilio e Enrico Rodolfo Zumbo.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti gli imputati si erano associati e avevano frodato il Fisco per una ventina di milioni di euro attraverso false compensazioni. Un sistema, quello che avrebbe ideato Rosario Marchese, del quale si sarebbero avvalse diverse decine di aziende di tutto il Nord Italia.

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