Matrimoni fuori Comune: testimoni si autoaccusano

Nel processo all’ex sindaco di Castenedolo Groli, molte delle donne intervenute hanno ammesso di essere a conoscenza del falso in atto pubblico
L'ingresso del tribunale di Brescia - © www.giornaledibrescia.it
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C’è chi non ricorda più nemmeno la data del matrimonio. «Mi sono già separata» spiega davanti ai giudici. Altre che di quello che viene definito «il giorno più bello» ricordano tutto. Anche quegli elementi finiti al centro di un’inchiesta e ora di un processo, a carico dell’ex sindaco di Castenedolo Gianbattista Groli, accusato di falso e peculato.

Ieri davanti al collegio presieduto da Roberto Spanò si sono sedute al banco dei testimoni 32 donne - residenti nel Bresciano, ma molte anche fuori provincia - che si sono sposate tra il 2014 e il 2016. Nozze che in alcuni casi risultano celebrate in Comune a Castenedolo, con replica senza alcun valore legale il giorno stesso o quello successivo in un ristorante di Polaveno. Ma sotto i riflettori sono finiti anche molti casi in cui le nozze sono state registrate - con tanto di firma degli sposi - direttamente al ristorante, o in un caso in abitazione privata la sera dell’ultimo dell’anno, nonostante sull’atto risulti Castenedolo come luogo di celebrazione, e nonostante le coppie abbiano pagato al Comune allora guidato da Groli o all’Associazione culturale Aldo Moro tra i 250 e i 350 euro.

«Ci è stato detto che avremmo dovuto pagare e lo abbiamo fatto. Per l’affitto dello spazio, per la presenza del sindaco che ci è stato indicato dal titolare del ristorante. Dovevamo mettere "liberalità" come causale» è stato spiegato. E proprio sul «doppio matrimonio» alcune donne ieri hanno reso dichiarazioni autoaccusatorie. «Sapevo che stavo firmando un atto che non riportava la verità dove si diceva che mi ero sposata a Castenedolo mentre le firme le stavo apponendo a Polaveno. Un atto - hanno aggiunto - che non stava rispettando la legge». Parole che hanno obbligato i giudici ad interrompere l’esame e a riconvocare le testimoni per un’altra udienza, ma accompagnate da un avvocato in quanto hanno ammesso di aver commesso un reato: falso in atto pubblico.

«Maledetto quel giorno» si lascia scappare a microfono aperto una delle donne che dovrà tornare in aula. La maggior parte delle testimoni sentite ha sostenuto di «aver firmato senza nemmeno leggere. L’emozione di quel giorno ha vinto su tutto. Mi sono fidata di Groli». Si può dire che a livello generale gli sposi si sono mossi in buonafede con il desiderio solo di festeggiare il matrimonio in «una location adatta per una celebrazione all’americana».

Tutta da valutare la posizione di Gianbattista Groli che, stando a quanto ricostruito dall’accusa e poi confermato dai testimoni, faceva firmare un modulo con il quale attestava che le nozze venivano celebrate nella Sala dei Disciplini, la più bella a disposizione del Comune. «Ma noi ci siamo sposati nella sala giunta» hanno raccontato, smentendo la ricevuta, una dietro l’altra le donne delle coppie sentite nel corso del processo.

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