La pandemia ha ridotto del 50% le nuove diagnosi di tumore

Berruti, Oncologia medica del Civile: «Non abbiamo mai chiuso, ma la paura ha frenato le prime visite»
A causa dell'emergenza sanitaria sono slitatti molti interventi, che ora sono urgenti
A causa dell'emergenza sanitaria sono slitatti molti interventi, che ora sono urgenti
AA

Il rischio reale era quello di «sacrificare» il paziente oncologico sull’altare del coronavirus. Il timore di dover rinunciare a controlli ed esami, di essere più esposti al rischio di contagio durante le terapie in ospedale, di non ricevere adeguate protezioni all’interno delle strutture sanitarie si lega alla nuova paura che non vi sia garanzia di continuità delle cure per la gravissima situazione economica in cui la pandemia ci ha fatti precipitare.

Timori fondati, quelli espressi da un migliaio di pazienti che ha risposto al sondaggio online del progetto «La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere» supportato da trenta associazioni, se si considera che nei mesi peggiori dell’emergenza sanitaria sono stati annullati tutti gli interventi programmati e dimezzate le visite settimanali. Nessun ospedale ha sospeso esami e controlli per gli oncologici, ma per motivi di sicurezza ha dovuto riorganizzarsi e rinviare il rinviabile. Cui si somma la volontà di molti pazienti di rinviare «per non rischiare». La stima è che in due mesi si siano dimezzate le nuove diagnosi rispetto allo scorso anno.

Rallentamenti e sospensioni che adesso presentano il conto. «Prima del 24 febbraio per le terapie in Day Hospital ogni giorno c’erano 130 pazienti. Dopo, il numero si è dimezzato: abbiamo scelto di non rinviare chemio e immunoterapie in ospedale, ma di continuare quelle per via orale direttamente a domicilio» spiegano gli oncologi Alfredo Berruti e Vittorio Ferrari dell’Oncologia dell’Ospedale Civile. «Siamo riusciti a contenere la diffusione del virus tra pazienti e operatori perché il nostro reparto non è stato convertito in Covid - spiega il direttore Berruti -. Ma non solo per questo. Gli assistiti, o i loro familiari, venivano solo a prendere i farmaci necessari e noi li abbiamo seguiti a casa attraverso videochiamate di controllo. Pensate che dal 24 febbraio al primo maggio in Day Hospital sono transitati 1180 pazienti per un totale di circa 3500 accessi ed abbiamo osservato che «solo» il 2,6% si è ammalato di Covid-19. Del dato daremo comunicazione al prossimo Congresso europeo di Oncologia medica in programma per l’autunno. Percentuale che, da noi, smentisce le statistiche sulla fragilità della popolazione oncologica e che fa ritenere che le tempestive misure di contenimento adottate in reparto abbiano dato i loro frutti».

Il rigore è stato estremo per non aggiungere fragilità a fragilità. «Abbiamo sempre avuto i letti occupati e "solo" quattro malati positivi, ma asintomatici e le terapie cui sono stati sottoposti per la loro patologia tumorale non hanno dato problemi» spiegano gli specialisti. Adesso, però, deve essere recuperato quello che era stato ridotto o rinviato durante l’emergenza. Gli screening oncologici, ad esempio. Sono migliaia quelli che dovranno essere effettuati entro dicembre per mettersi «in pari» con gli anni precedenti. La ripresa graduale delle attività di ricovero ed ambulatoriali non urgenti troverà verosimilmente piena applicazione solo da settembre.

«Il problema di fondo c’è: in febbraio sono stati rinviate centinaia di interventi programmati. Ora, però, se non vengono eseguiti diventano urgenti - spiega Vittorio Ferrari -. Abbiamo avuto molti decessi per Covid-19. Ma per tumore li avevamo e continuiamo ad averli. In attesa ci sono interventi importanti, per i quali devono ovviamente essere anche ripetuti i prericoveri già fatti in gennaio. Ci sono situazioni non urgenti, come quelle legati a tumori alla prostata, alla mammella, al rene o al colon che, tuttavia, potevano attendere un mese, al massimo due».

Inevitabile il rimbalzo di quello che è rimasto in sospeso. Bisogna recuperare, ma non è così automatico. Due i problemi di fondo da superare. Uno è legato alla carenza di sangue perché anche molti volontari sono risultati positivi e non possono donare fino a guarigione completa. L’altro è legato alla piena operatività delle sale operatorie, strette tra più fuochi che vanno dalle urgenze, alla carenza di anestesisti, alla necessità per il personale di fare le ferie e recuperare i riposi saltati durante l’emergenza. «Solo nel nostro ospedale, che ha avuto un numero elevatissimo di pazienti Covid, si sono ammalati in cinquecento tra medici, infermieri e personale sanitario - spiegano gli oncologi -. Per affrontare l’emergenza, che non è ancora finita, alla nostra Asst hanno destinato un numero di professionisti che non riuscirà comunque a ricoprire i colleghi che hanno dovuto fermarsi».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia