I lavoratori delle cooperative sociali: «È il sistema che non funziona»

Spesso di instaura un circolo vizioso di orari variabili e cambio di mansioni non riconosciuto a livello economico. Ecco cosa raccontano
Tra chi riporta molte difficoltà anche i lavoratori nel settore culturale - Foto Unsplash
Tra chi riporta molte difficoltà anche i lavoratori nel settore culturale - Foto Unsplash
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Nessuno vuole parlare con il proprio nome delle cose che non funzionano nelle cooperative. Chi ha raccontato la sua esperienza al Giornale di Brescia teme di avere problemi sul lavoro, «e non possiamo permettercelo». Per questo le parole tra virgolette di seguito sono attribuite a nomi di fantasia e non viene specificato altro sulla cooperativa. Ci sono però anche testimonianze positive, a riprova che le realtà serie esistono.

I problemi principali sollevati dagli intervistati riguardano gli appalti e gli stipendi, che secondo gli intervistati inficiano la qualità del servizio offerto e non riconoscono la professionalità degli operatori e delle operatrici. 

«Diciamo che gli appalti sono uno dei drammi più grandi del terzo settore - è il primo commento a caldo di Luca, che lavora nell’educativo -. I bandi sono strutturati in modo tale che i fondi non consentono di fare il servizio come si dovrebbe o di pagare un laureato in modo decente. D’altro canto, nella mia esperienza ho visto cooperative ormai abituate a partecipare a tutti i bandi, in una corsa di tutti contro tutti che le porta a proporre qualcosa che nei fatti difficilmente riescono a garantire, anche per mancanza del personale adeguato, pur di aggiudicarsi il finanziamento. E questo a discapito del lavoratore e di chi riceve il servizio, per esempio un bambino con disabilità».

Giulia non è più dipendente della cooperativa dal 2018, ma per quasi due anni ha lavorato nel settore culturale «risicando i mille euro al mese a tempo pieno». Racconta: «Ero pagata 6,50 euro all’ora. Ma forse la situazione peggiore è quella degli assistenti ad personam, come il mio compagno: non lavorano da giugno a settembre per la sospensione estiva del contratto, quindi per tre mesi non ricevono lo stipendio. Ma essendo a tempo indeterminato non possono chiedere la disoccupazione». Il riferimento è a un tipo di contratto chiamato part time ciclico verticale, che prevede che il dipendente lavori solo in alcuni periodi dell’anno, mentre per i restanti resta inattivo (si maturano comunque i contributi per la pensione anche nei periodi non lavorati). 

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Secondo alcuni, ci sono cooperative che cercano di somigliare a un’azienda privata, cioè privilegiano il ricavo all’utilità sociale. «Ho lavorato per una coop che si occupava di persone fragili - testimonia Serena -. La missione originale era rivoluzionaria. Però a un certo punto ha iniziato a investire in attività più incentrate al guadagno che alla cura».

Per Camilla invece la grossa difficoltà è dovuta al cambio di mansioni introdotto con nuovi appalti (possibilità prevista dal Ccnl all’art. 48, a patto che ci sia una verifica delle nuove esigenze da parte di tutte le parti e che non comporti mutamenti sostanziali della posizione economica del lavoratore). «Nei contratti c’è dentro di tutto e quindi le richieste che ci arrivano nel settore culturale sono le più disparate. Anche se fai la guardiasala, ti trovi a organizzare eventi, perfino matrimoni, a qualsiasi ora del giorno. Però il personale resta sempre quello, che si deve adattare man mano alle esigenze del nuovo committente. Senza ovviamente cambiare inquadramento, quindi stipendio, che resta ai livelli minimi».

Marina invece è una voce fuori dal coro. Ha lavorato per un anno e mezzo come educatrice in un asilo e poi a domicilio: «Avevo un contratto da 17 ore, se ne facevo di più erano pagate. La mia era un’oasi felice rispetto a tante situazioni che ho sentito in giro». 

Non è l’unica: anche Michela Carminati, dipendente de La Nuvola nel Sacco, si dice molto soddisfatta. «Sono educatrice professionale per minori inquadrata nel livello D1: lavoro 34 ore a settimana, ricevo un bonus per compensare le attività da coordinatrice e facciamo tutti formazione. Le dinamiche negative esistono nel terzo settore, che a volte fatica davvero. Ma più che le cooperative, è il sistema che non funziona». 

Le vostre storie

Il mondo delle coop sociali è variegato e non è semplice riuscire a riscostruire cosa funziona e cosa no. Per questo ci piacerebbe raccogliere altre testimonianze di chi ci lavora o ci ha lavorato per molti anni. Garantiamo a tutti e tutte l’anonimato. L’idea è di riunire diverse storie per scrivere un seguito di questo approfondimento. Potete scrivere direttamente all’indirizzo mail di Laura Fasani, che trovate cliccando sulla firma di questo articolo, oppure a gdbweb@giornaledibrescia.it, alla chat Whatsapp della redazione Web (3895424471), ai messaggi privati dei nostri canali social (Facebook, Instagram e Linkedin).

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