Stipendi bassi e orari mobili: così gli appalti pesano sui lavoratori delle cooperative

I problemi nascono dove non vengono rispettate le regole e si promuove «il massimo ribasso»: si va da orari mobili a stipendi bassi
Sui banchi di scuola
Sui banchi di scuola
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Il 24 ottobre una donna si è incatenata fuori dalla Poliambulanza di Brescia per protestare contro il precariato del suo lavoro. Dipendente di una cooperativa che si occupa del servizio mensa per diverse aziende ospedaliere, la sua è stata una protesta personale in luogo pubblico per cercare di sensibilizzare la cittadinanza su una condizione che vivono anche altre persone: il lavoro tramite cooperativa può avere grossi problemi, dovuti soprattutto al sistema di appalti. Quali sono, e in che misura?

Rispondere in modo definitivo è complicato, sia perché non esistono dati che ci dicono quanti lavoratori e lavoratrici sono in difficoltà e rispetto a cosa di preciso, sia perché i problemi dipendono da quei contesti in cui, banalmente, le regole non vengono rispettate e si gioca al ribasso, sulla pelle dei lavoratori. Non si può quindi generalizzare né scaricare tutte le colpe sulle cooperative, che a Brescia hanno una storia virtuosa specie nel sociale, che infatti, seppur in calo dal 2016, resta il settore principale con 259 coop (dati Confcooperative aggiornati al 29 aprile 2022).

Le cooperative sociali

Esistono diversi tipi di cooperative, che da definizione nel codice civile sono società a capitale variabile con scopo mutualistico. La forma societaria varia in base al numero dei soci e al patrimonio, mentre la tipologia dipende o dal tipo di rapporto mutualistico che c’è tra la cooperativa e il socio, oppure dall’attività svolta. Le coop sociali rientrano nella seconda classificazione e sono regolate dalla legge 381 del 1981. Il loro scopo è quello di «perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini». Possono essere di tipo A (gestiscono servizi socio-sanitari ed educativi) o di tipo B ( svolgono attività finalizzate all’inserimento lavorativo di persone «svantaggiate»). I rapporti di lavoro sono regolati da un contratto collettivo nazionale, che prevede contratti a tempo indeterminato, determinato, a tempo parziale, apprendistato. L’articolo 47 definisce sei livelli di inquadramento del personale: si va dalla categoria A, per lavori generici, alla F, per i responsabili. A ciascuno corrisponde una retribuzione minima che va dai 1.254,62 euro lordi al mese per l’A1 ai 2.310,42 per l’F2, e che ogni incarico è obbligato a mantenere. 

Coop «profit»

Ci sono però le cooperative sociali composte da persone che credono nell’utilità solidale del loro servizio e la perseguono garantendo una giusta qualità di vita dei propri dipendenti, e quelle che invece si costituiscono come tali per ottenere sgravi fiscali e somigliano sempre più a imprese profit. Le seconde, «a livello nazionale, il mondo cooperativo ha stimato siano circa il 30% del totale, soprattutto nell'ambito dei servizi», dice Mario Mazzoleni, docente a Economia all’Università degli Studi di Brescia, dove tiene un corso sulla gestione delle aziende cooperative e delle imprese sociali. Tutte si trovano a operare in un mercato in cui i servizi sono esternalizzati: il committente pubblico appalta tramite bandi, quello privato può ricorrere direttamente al rapporto «domanda-offerta». E il primo problema fondamentale nasce qui.

Il meccanismo del massimo ribasso

«Nei bandi succede che venga inserita la clausola del massimo ribasso, per cui al costo del servizio è associato un punteggio più alto rispetto a, per esempio, l’esperienza della coop - spiega Mazzoleni -. Di conseguenza, vince il bando chi chiede di meno e questo significa retribuzione minima per chi poi lavora, parametrata a stipendi già bassi di per sé». Nelle cooperative sociali, la retribuzione dipende dal livello di inquadramento della posizione stabilito dal Ccnl, dall’anzianità lavorativa o dagli accordi contrattuali presi con la coop sociale. Si va da un minimo di 1.254,62 a un massimo di 2.310,42 euro lordi al mese. La dinamica descritta dal docente si instaura soprattutto nell’ambito socio-sanitario-educativo-assistenziale.

«Se la gara viene fatta al ribasso, si riducono o i servizi o il costo del lavoro, e tendenzialmente si opta per il secondo - dice Paolo Foglietti, vice presidente di Confcooperative e consigliere delegato di Conast -. Anche se i contratti sono quelli collettivi nazionali, ci sono vari modi, illegali, per tenere a mano incidendo pesantemente sulla qualità lavorativa delle persone. Questo accade meno nelle gare indette dagli enti pubblici, che hanno più vincoli».

Orari mobili

Uno dei problemi più frequenti, riportato da diverse testimonianze, è la variazione degli orari di lavoro in base al nuovo bando. Succede per esempio che una persona abbia un contratto a tempo indeterminato di 20 ore con una cooperativa in un posto, ma che a un certo punto l’appalto venga vinto da un’altra cooperativa che tramite una lettera di servizio può chiedere 38 ore di lavoro per un anno solo. Il lavoratore viene quindi sì riassorbito dalla nuova coop (il passaggio di personale è obbligatorio), lavora di più quell’anno e poi torna alla situazione di partenza. «Formalmente chi ha l’indeterminato resta garantito dal contratto di base, ma si trova a fare la trottola in situazioni che variano con troppa frequenza» prosegue Foglietti. Cambiare di anno in anno non permette inoltre di maturare l’anzianità lavorativa necessaria per gli scatti di stipendio.

«I vincoli ci sono, ma solo formalmente - commenta Giuseppe Leone, segretario della Cgil Filcams Brescia -. I problemi, come denunciamo da anni, derivano dalle condizioni degli appalti: se per esempio il committente diminuisce le ore di servizio, la paga diminuisce, una persone come fa a sostentarsi?». L’oscillazione dello stipendio può dipendere dalla variazione dell’orario di lavoro proposta dalla lettera di incarico. Come spiega Maria Cristina Trento, funzionaria di Fp Cgil Brescia e a lungo dipendente di una cooperativa, succede che «vengano affidate più mansioni con un grado diverso di responsabilità, il che vorrebbe dire cambiare la qualifica, e quindi la paga, del lavoratore. Ma non viene fatto».

«Questione di scelte» 

Questo meccanismo conviene insomma solo a chi lo propone. Se le aziende hanno più margine di manovra per dettare condizioni contrattuali, «i Comuni dicono che per il loro bilancio non possono dare di più, e in molti casi è davvero così. Però - obietta Mazzoleni - si possono fare delle scelte. Se c’è bisogno di badanti o educatori nelle scuole, taglierai in base a dove il sociale sta nella tua scala delle priorità. E i servizi alle persone dovrebbero stare in alto». Non stupisce allora che a Conast si dica che negli ultimi anni non si riesce a trovare personale. E non tanto perché nessuno voglia lavorare nelle coop, di cui magari condivide i valori, ma forse si vuole evitare di restare incastrati in un sistema che rende precari perché, come ha sintetizzato efficacemente Foglietti, «nessuno è chiamato a risponderne. Le regole ci sono, manca chi controlla che vengano applicate». E intanto il peso resta sugli ultimi anelli della catena: lavoratori e lavoratrici.

Le vostre storie

Il mondo delle coop sociali è variegato e non è semplice riuscire a riscostruire cosa funziona e cosa no. Per questo ci piacerebbe raccogliere altre testimonianze di chi ci lavora o ci ha lavorato per molti anni. Garantiamo a tutti e tutte l’anonimato. L’idea è di riunire diverse storie per scrivere un seguito di questo approfondimento. Potete scrivere direttamente all’indirizzo mail di Laura Fasani, che trovate cliccando sulla firma di questo articolo, oppure a gdbweb@giornaledibrescia.it, alla chat Whatsapp della redazione Web (3895424471), ai messaggi privati dei nostri canali social (Facebook, Instagram e Linkedin).

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