I genitori di Sergio: «Paraga? L’abbiamo perdonato 25 anni fa»

Franca e Augusto Lana ricordano il figlio 20enne ucciso in Bosnia: «Aveva sentimenti buoni e puliti»
Franca e Augusto con la foto e il rosario del figlio Sergio Lana © www.giornaledibrescia.it
Franca e Augusto con la foto e il rosario del figlio Sergio Lana © www.giornaledibrescia.it
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A Gussago, dopo il secondo tornante lungo la salita di Civine, c’è una casetta circondata dagli alberi. All’interno, tra gli arredi in legno, ogni cosa ricorda Sergio: sul tavolo del salotto campeggia una sua immagine incorniciata dalle rose fucsia colte nel giardino di famiglia, lungo le pareti ci sono le foto della sua classe, nella sua camera, vicino ai poster dei motociclisti degli anni ’80, ecco le scarpe e i vestiti che si tolse la sera prima di partire per la Bosnia con un carico di aiuti umanitari ed essere ucciso a Gornji Vakuf insieme a Fabio Moreni e Guido Puletti.

Era il 29 maggio 1993, una data impressa nei cuori dei coniugi Lana. «Per il nostro Sergio, che non era un eroe ma un ventenne normale con sentimenti buoni e puliti - ci raccontano mamma Franca e papà Augusto, storici membri di un gruppo di preghiera - si trattava del quinto viaggio in quella terra segnata dalla guerra. Diceva che la popolazione aveva bisogno di sostegni materiali, ma soprattutto del nostro affetto, della nostra vicinanza. Noi condividevamo con lui questa considerazione, ma quella volta, prima che partisse, sentivamo che la spedizione, in un luogo più sperduto e quindi più bisognoso, era più pericolosa delle altre».

Franca chiese così al figlio di rinunciare al viaggio, «ma lui, che stava sostituendo un padre di famiglia, mi rispose - riferisce lei - che era la persona giusta per quella missione in quanto non aveva né moglie né figli. Poi mi diede una pacca sulla spalla e mi disse: "Tanto voi vi arrangiate anche senza di me"». Così arrivò la mattina della partenza: «Lo sgridai perché aveva la barba lunga - ricorda la mamma con un sorriso - e lui salì subito a tagliarla. Poi, prima che uscisse, gli dissi: "Dammi almeno un bacio". Lui mi rispose: "Questa volta voglio farti contenta e te ne do due". Così fece e uscì felice».

Impedirgli di seguire il suo cuore sarebbe stato impossibile. Un episodio riassume bene quanto lui fosse emotivamente legato a quella terra: «Durante il secondo viaggio - ci racconta Franca - una donna voleva dare a Sergio il suo bambino. "Italia, Italia", gli ripeteva. Lui, una volta rientrato a Gussago, continuava a pensare alla disperazione di quella mamma. Mi diceva: "Chissà se il piccolo è ancora vivo, forse avrei potuto nasconderlo sotto il giubbino..." E poi piangeva».

I giorni del quinto viaggio, per i coniugi Lana, passarono lentamente. Il 31 maggio «aspettavamo la chiamata, dall’Italia, di Sergio. Invece ricevemmo un’altra telefonata. Ci dissero che era successo qualcosa di grave». Il loro unico figlio era stato ucciso a colpi di kalashnikov insieme a Guido e Fabio. Agostino Zanotti e Christian Penocchio, i due bresciani che erano con loro in Bosnia, si salvarono.

Mentre papà Augusto ricostruisce con noi ciò che si sa di quella feroce esecuzione, la mamma va in un’altra stanza a prendere un sacchetto di plastica. Dentro ci sono l’orologio nero col cinturino rotto che Sergio indossava quel giorno, il rosario in legno con cui stava pregando (così come Fabio) quando venne ammazzato e il portafogli in pelle marrone contenente i suoi documenti e due fototessere di ragazze. Di ciò che accadde il 29 maggio ’93 si è detto e scritto tantissimo durante gli anni del processo. Un processo che, per Augusto e la moglie, «ha fatto emergere più dubbi che risposte».

Delle scorse settimana è poi la notizia che il comandante paramilitare Paraga, ritenuto l’autore della strage di Gornji Vakuf, potrebbero presto tornare in libertà. «Se la magistratura lo ritiene corretto a noi va bene - è la reazione della coppia -. Paraga ha scontato la sua pena, non siamo noi a poter dire se è giusta o meno». franca, forte delle sua fede immensa, ha perdonato subito chi ha ammazzato Sergio. Quando ha visto Paraga in tribunale ha provato «un’emozione fortissima - dice -. Da anni desideravo incontrarlo. Mi ha detto: "Mi dispiace, non ho ucciso vostro figlio, anch’io voglio la verità"». Quel giorno, vedendo quell’uomo, la coppia ha capito che «il perdono aveva avuto un riscontro», aggiunge il marito per spiegarci la sensazione avvertita. Mentre lui parla, Franca va a prendere il suo cellulare e ci mostra alcune fotografie scattate alle lettere e ai bigliettini di auguri per Natale che in questi anni ha scritto al carcere per Paraga. «Chiedo che il suo cuore si possa aprire all’amore - leggiamo noi - e che lei, una volta libero, possa essere un uomo capace di portare la pace nel suo Paese». La fede che ogni giorno aiuta la coppia ad andare avanti era anche il motore delle azioni del ventenne: «Nostro figlio voleva solo aiutare chi soffre», ribadisce, emozionato, Augusto. Se il suo Sergio fosse ancora vivo mamma Franca lo immagina «felice, sposato e con figli. I nipotini - dice con lo sguardo sognante - che porterebbe qui a casa da noi... ».

 

 

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