«Fine pandemia entro il 2022: poi col virus solo un’influenza»

Il virologo Caruso (Civile): «La malattia nella forma attuale inizierà a scemare dopo i mesi autunnali»
Nei laboratori di Virologia si eseguono il sequenziamento e il tracciamento del Sars-Cov-2 - © www.giornaledibrescia.it
Nei laboratori di Virologia si eseguono il sequenziamento e il tracciamento del Sars-Cov-2 - © www.giornaledibrescia.it
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Il virus Sars-Cov-2 non scomparirà, ma imparerà a convivere con noi, e noi con lui. Diventerà endemico, come lo sono i comuni virus dell’influenza che cambiano e contro i quali dobbiamo vaccinarci di anno in anno. Cosa significa ciò? Che il tasso di mortalità diventerà pari o inferiore a quello dell’influenza. Ora, ancora nel pieno di una pandemia che dà solo qualche segnale di resa, ci si chiede in che modo questo accadrà, soprattutto in quali tempi e, anche, che impatto hanno su questo processo i vaccini, le varianti del virus e le misure di distanziamento sociale.

Cosa ci aspetta in futuro. Il presidente della Società italiana di Virologia, Arnaldo Caruso, ordinario di Microbiologia all’Università degli Studi di Brescia e direttore del Laboratorio di Microbiologia dell’Asst Spedali Civili prospetta un calendario con le tappe future della pandemia. «Che - sostiene - grazie al vaccino di massa potrà considerarsi definitivamente debellata alla fine del 2022». Continua: «Se entro l’estate saremo a buon punto con la vaccinazione di massa, potremo affrontare con maggiore tranquillità la prossima ondata di Covid-19 che sicuramente ci aspettiamo in autunno-inverno. E se la campagna di profilassi raggiungerà i suoi obiettivi, considerando anche i risultati che stiamo osservando sul potere neutralizzante degli anticorpi indotti dal vaccino contro Sars-CoV-2 e le sue varianti, possiamo sperare in un futuro molto migliore. Con una malattia che nella sua forma pandemica vada a scemare entro gli inizi del prossimo anno».

Il professor Arnaldo Caruso, virologo - © www.giornaledibrescia.it
Il professor Arnaldo Caruso, virologo - © www.giornaledibrescia.it

L’incognita varianti. Non sottovaluta, Caruso, il problema delle varianti al virus, ancora più aggressive dele attuali. Ricordiamo che nel Laboratorio da lui diretto la variante inglese è presente nell’86% dei campioni casuali analizzati. Percentuale che scende al 65% dei campioni biologici nelle analisi effettuate nella sede di Brescia dell’Istituto zooprofilattico sperimentale.

«Sappiamo che le varianti ci saranno, ma non è possibile al momento prevederne l’aggressività - continua Caruso -. Al momento, sono ottimista perché, così come è accaduto lo scorso anno, con l’arrivo della bella stagione l’indice di infettività, ma principalmente le manifestazioni cliniche di questa infezione si attenueranno. Quindi vedremo diminuire il numero di pazienti con sintomi e dovremmo avere un’estate più tranquilla e serena». Dunque, le crescenti evidenze sull’efficacia di vaccini anti-Covid e farmaci hi-tech invitano a guardare al futuro con ottimismo e fiducia. Tuttavia, dagli studi sul coronavirus e relative varianti emergono «segnali da tenere sotto scretto controllo».

Animali e uomo. Conclude Caruso: «È uscito un lavoro pochi giorni fa sul fatto che, mentre il virus originario di Wuhan non era più in grado di reinfettare i pipistrelli o di infettare in modo molto efficace gli animali domestici, le varianti brasiliana e sudafricana sembrerebbero capaci di infettare anche roditori come i topi di laboratorio, oltre agli animali domestici. In questo modo risulterebbe più estesa la loro capacità di diffusione nell’ambiente». Non solo. Vi è il timore, espresso da Caruso, «che il virus muti e si ricombini negli animali. Con la possibilità di riportare nell’uomo ceppi variati o anche di innescare nuove zoonosi». La buona notizia, conclude il virologo, è che «il mondo scientifico è ormai allertato».

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