Fabio Leone: quando il maestro entrò in classe...

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Per non dimenticare non voglio dimenticare e non si può dimenticare.

Per non dimenticare, ogni anno, ricordo quella buia mattina del VENTOTTOMAGGIOMILLENOVECENTOSETTANTAQUATTRO, data che se scandita e letta per intero rende bene l’infinita lunghezza del silenzio sulla verità che da quel giorno ci avvolge.

Una mattina grigia umida e piovosa, arida di luce e di umanità; una mattina che fece danni, ferì ed uccise, non solo corpi inermi ed innocenti ma anime e coscienze.

E continuò a farlo per quaranta lunghissimi anni.

Ero alla scuola elementare Dante Alighieri di Brescia, frequentavo la seconda elementare, ero un bambino, fortunato perché felice e spensierato e nella cartella con i catarinfrangenti, tutte le mattine portavo con me non solo libri e quaderni ma la speranza di crescere sano ed istruito, l’amore dei miei genitori e la spensieratezza che alimenta il coraggio di un bambino di quasi 8 anni al quale basta poco per essere sereno e pensare che non possa mai succedere qualcosa di brutto a sè ed a chi gli sta intorno.

A quell’età nulla di ciò che accadde quella triste mattina poteva appartenere a pensieri o paure; a quell’età non si pensa che certe cose possano succedere, che la mente dell’uomo adulto e saggio alla quale da bambini si aspira possa pianificare certe azioni; a quell’età la disperazione letta negli occhi del mio povero Maestro che sconvolto entrò in classe con una mano sulla fronte gridando che degli assassini avevano fatto scoppiare una bomba in Piazza della Loggia, dove sua moglie era presente alla manifestazione, non si immagina di vederli, non si erano mai visti, nemmeno nei pensieri creati dalle fiabe più cupe; a quell’età i bambini è difficile che possano stare in silenzio, composti e tristi, come restammo noi davanti al via vai di ambulanze che si vedevano passare dalla finestra di quella classe, diventata improvvisamente un luogo triste e dove il povero Maestro ci aveva lasciati incustoditi, per scendere in strada e, senza nemmeno aspettare il bus della linea 5, correre dentro la galleria Tito Speri per arrivare al più presto nella Piazza a cercare la moglie, senza nemmeno avere avuto il bisogno di dircelo che dovevamo restare buoni ed in silenzio; quell’espressione degli occhi all’annuncio della notizia ebbe un effetto anestetizzante su di noi e solo le sirene delle vecchie ambulanze color caffè latte della Croce Bianca rompevano quell’inusuale silenzio di bambini spaventati e sembravano grida lancinanti di dolore e disperazione che nessuna fiaba aveva mai raccontato.

Si seppe poi che la moglie del povero e saggio Maestro, fortunatamente non fu fisicamente ferita, ma quel giorno feriti dentro lo si è stati tutti, Cittadini di Brescia e non, appartenenti ad una Patria avversa, che in quei tempi lottava contro il proprio Popolo, lo terrorizzava e lasciava che vivesse spaventato invece di proteggerlo e stare dalla sua parte, dettando strategie di tensione invece che di crescita e serenità.

Quella stessa Patria che non è stata capace dopo quaranta lunghissimi anni da quel terribile VENTOTTOMAGGIOMILLENOVECENTOSETTANTAQUATTRO di insegnare valori di giustizia e di verità nemmeno a quei bambini fiduciosi del futuro e delle istituzioni che non dimenticheranno mai quel giorno.

 

Fabio Leone Ceresa.

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