Del Bono: «Il piano del Pd per vincere in Regione fra 4 anni, serve passione»

È stato il campione di preferenze delle Regionali dello scorso febbraio, ora Emilio Del Bono è vicepresidente del Consiglio regionale, ma soprattutto è stato indicato come presidente del Pd lombardo.
È tra coloro chiamati a provare a risollevare il centrosinistra che in Lombardia è all’opposizione del 1995.
Due settimane fa è stato indicato come presidente del Pd lombardo e del laboratorio Lombardia 2028. Cosa può dirci di questi incarichi?
L’obiettivo è quello di predisporre un programma per il 2028. In questo senso è un metodo abbastanza inusuale per il Pd e il centrosinistra lombardo che sono sempre stati abituati ad arrivare a ridosso delle elezioni ed attrezzarsi in maniera approssimativa individuando un candidato e predisponendo il programma solo negli ultimi mesi. Ora si cambia metodo: iniziamo fin d’ora il nostro cammino verso le prossime Regionali dotandoci di uno strumento, il laboratorio Lombardia 2028. Avrà un suo comitato scientifico: professionalità e competenze sulle grandi partite di competenza regionale. Ci diamo tempo fino alle europee per definire la squadra, dopo inizieremo a girare la Regione.
Facendo un passo indietro, perché ha rinunciato alla corsa alla segreteria regionale?
È stata una scelta dettata dalla consapevolezza che tutte le nostre forze, anziché essere consumate nella dialettica interna, vanno spese per due cose importanti: costruire un pensiero solido sulla nostra Regione e lavorare sul programma tessendo relazioni e rapporti con la società civile. Abbiamo bisogno di ricostruire un nostro retroterra sociale. Ho deciso di spendermi su questo versante perché forse mi è più congeniale.
In che senso?
Sono un uomo delle istituzioni, inoltre il mio modo di essere è anche fuori dal perimetro del partito. Il mio è un profilo civico-politico e se vogliamo essere competitivi fra quattro anni dobbiamo partire da un grande laboratorio civico-politico. Oggi è difficile dire quale sarà il perimetro della coalizione fra quattro anni. Ma sicuramente poggerà su due pilastri: una coalizione di centrosinistra e una civica. Dovremo inventarci un contenitore civico che sia davvero civico e non sia una lista costruita all’ultimo miglio. Una lista che possa rappresentare anche quel pezzo di società civile lombarda che incomincia a comprendere che sta esaurendosi la stagione della destra in Lombardia.
In questa ottica il Pd lombardo come si pone rispetto al nazionale?
C’è stata una grande convergenza su questa idea consapevoli delle nostre fragilità, ma anche delle nostre potenzialità. Vedremo se la guida del laboratorio si trasformerà in una candidatura alla presidenza. Ora è prematuro.
Matteo Renzi, in una recente intervista al nostro giornale, si è provocatoriamente domandato come facciate lei e Gori a restare nel Pd della Schlein. Cosa risponde?
In politica conta la massa critica, Italia Viva è al 3%. Il nostro obiettivo è portare il Partito democratico al 30%.
Lei parla di fine della stagione della destra lombarda.
Saranno quasi 30 anni alla fine di questo mandato, ma ormai denota tutte le sue carenze, non c’è più spinta all’innovazione. L’ente di governo lombardo non è più un luogo di governo avanzato e la comunità lombarda va per i fatti suoi a prescindere dalla Regione. Partiamo dal fatto che la sanità lombarda va ripensata, ma il centrodestra è prigioniero di se stesso.
Cosa significa?
Il modello Formigoni è stato portato all’estremo e non è stato mai riformato e probabilmente non è riformabile. Sono falliti i tentativi di Maroni e Moratti e lo stesso Fontana non mi sembra abbia l’ansia di correggere un sistema che collasserà.
Prego?
Sì, collasserà. Perché il sistema sanitario in Lombarda è ospedalocentrico, tendenzialmente collocato nelle aree a forte economia di scala, cioè le aree urbane. Si stanno abbandonando i territori, le valli, le pianure. Siamo di fronte ad un sistema sanitario estremamente esoso e diseconomico e per questo si sta abbandonando la politica della prevenzione e della cura e della presa in carico dopo l’ospedalizzazione. Il sistema deve essere ripensato e regolato perché il malumore sta crescendo in maniera esponenziale.
Il suo non è un giudizio eccessivo?
La Regione non ha nessuna visione di cucitura delle diseguaglianze territoriali. La Lombardia sta diventando sempre più diseguale con territori che si stanno spopolando, e quelli dove la ricchezza prodotta distribuita è bassissima. Manca una politica regionale che ricucia queste fratture perché i territori reggono se hanno sanità, scuola e mobilità pubblica. Peccato che proprio su questi tre terreni la Regione sia totalmente assente.
Voi come cambierete?
Abbiamo davanti un lavoro difficile, da un lato di disvelamento degli errori commessi dal centrodestra, dall’altro di visione. In questi anni dovremo mettere in campo un’energia e una passione di cui probabilmente siamo stati carenti. È un percorso molto complicato ma parafrasando Bertrand Russell: «Le cose erano impossibili, quindi le fecero».
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