Dal parco Parenzo al Brenta: il viaggio illegale del pcb

Indagati due dirigenti dell’Appa di Trento e due manager della discarica sequestrata
Il parco Parenzo prima della bonifica - © www.giornaledibrescia.it
Il parco Parenzo prima della bonifica - © www.giornaledibrescia.it
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Che fine ha fatto tutto il pcb portato via insieme a 2.650 metri cubi di terreno inquinato dal parco Parenzo Sud Ovest tra il novembre del 2018 e l’ottobre dell’anno successivo? In una discarica nel bel mezzo del «Parco Ambientale del Brenta», a Castel Ivano, frazione di Villa Agnedo, in Valsugana, alla confluenza del fiume Brenta e dei torrenti Maso e Chieppena. È finito là dove, per la procura della Repubblica di Trento e i carabinieri del Noe, non doveva finire. Quell’impianto mercoledì è finito sotto sequestro preventivo per volontà del Gip del tribunale di Trento nell’ambito dell’inchiesta che vede indagate quattro persone: due manager dell’azienda che gestisce la discarica e due dirigenti dell’Azienda provinciale di protezione dell’ambiente di Trento.

Le accuse per loro vanno dal traffico illecito di rifiuti, alla realizzazione di discarica in area parco; dalla discarica abusiva, all’abuso edilizio, fino ad arrivare (ma solo per i due funzionari pubblici) alla rivelazione di atti di ufficio. L’indagine della Procura di Trento non ha raggiunto invece chi quei rifiuti ha prelevato nell’ambito dell’intervento di bonifica del parco che sorge a ridosso della scuola media Calvino a Chiesanuova e ha conferito in buona fede all’impianto per il loro trattamento e la successiva messa a dimora in discarica.

Secondo la ricostruzione della procura trentina, guidata dall’ex procuratore aggiunto di Brescia Sandro Raimondi, quell’impianto - aperto nel 1993 - avrebbe dovuto essere chiuso dal 2005 per l’esaurimento della sua attività ricettiva e la sua collocazione in fase post-operativa. In realtà, secondo gli inquirenti, dopo un fermo di alcuni anni imposto anche dalle nuove normative in materia di trattamento di rifiuti e di discariche, grazie all’intervento dei due funzionari Appa, l’impianto ha ripreso la sua attività nel 2017, anni dopo il cambio di destinazione dell’area, divenuta da poco meno di un lustro «Parco Ambientale del Brenta». I provvedimenti attuati dai due dirigenti dell’Azienda di protezione ambientale - per chi indaga - permettevano alla discarica di procrastinare a tempo indefinito i termini per la chiusura del sito e di recuperare altri 130mila cubi di rifiuti, tra i quali sono stati smaltiti anche quelli prelevati dall'autunno del 2018 proprio al parco Parenzo. Così facendo, secondo gli inquirenti, l’azienda che gestisce l’impianto ha realizzato un ingente guadagno illecito, dato dallo smaltimento di rifiuti particolarmente contaminati, quali quelli bresciani.

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