Dal Civile il kit per tornare al lavoro: pronti test e tamponi

Progetto tutto bresciano per il ritorno al lavoro: le analisi permetterebbero la ripresa in sicurezza
Le dottoresse Paola Nasta e Michela Bezzi - © www.giornaledibrescia.it
Le dottoresse Paola Nasta e Michela Bezzi - © www.giornaledibrescia.it
AA

In sei settimane l’ospedale Civile ha curato 2600 pazienti Covid-19, più di tutti gli ospedali veneti messi insieme. L’impegno in prima linea ha permesso ai medici di acquisire un’esperienza importante anche sotto il profilo scientifico. Ogni giorno un passo per capire di più di un virus di cui fino allo scorso dicembre nulla si sapeva.

La parte scientifica e clinica è ora disponibile a mettere a disposizione della comunità questi risultati per contribuire al dibattito del mondo del lavoro, parti sociali incluse, su quando sarà possibile ripartire e con quali modalità. Un documento tecnico-scientifico in cui sono descritte le modalità per riaprire avendo come preoccupazione principe la sicurezza della salute dei lavoratori. I numeri: nel Bresciano i lavoratori tra i 18 e i 74 anni sono 570mila; di questi, quarantamila sono quelli contagiati e, probabilmente, immunizzati, tenuto conto che, rispetto ai dati ufficiali relativi solo a quelli sui quali sono stati fatti i tamponi diagnostici, i positivi sarebbero almeno dieci volte di più.

Come tornare a lavorare in sicurezza? Intanto, con l’utilizzo obbligatorio dei dispositivi di protezione individuale: mascherine, guanti, distanziamento dai colleghi. Con questa modalità, potrebbe iniziare ad aprire gradualmente dopo la metà di aprile il 20% delle aziende, puntando sui dipendenti in fasce di età meno colpite. Nel frattempo, i lavoratori - dipendenti e non - verranno testati tutti con test per determinare la presenza di anticorpi contro Covid 19, ma anche con tamponi diagnostici per diagnosticare l’eventuale presenza del virus e, dunque, della malattia.

I kit validati al San Matteo di Pavia su richiesta della Regione dovrebbero essere disponibili a brevissimo. L’informazione sulla presenza di anticorpi IgG allo stato attuale consente solo di definire che la persona è stata a contatto con il virus. Prima di sapere se l’immunità sviluppata è protettiva e per quanto tempo, è necessario identificare test capaci di definire il titolo anticorpale e sperimentazioni ad hoc in grado di definire la capacità neutralizzante in caso di reinfezione.

Abbiamo chiesto a Michela Bezzi, direttore Pneumologia ad indirizzo endoscopico e responsabile degenze Covid A e B create per l’emergenza e a Paola Nasta, specialista in Malattie infettive all’Ospedale Civile, come è possibile pensare al dopo Covid mentre si lavora nell’emergenza. «La malattia è complicata e difficile da risolvere. Difficile da capire. Crediamo di poter dire che ogni figura sanitaria impegnata nella gestione del Covid 19 si trova di fronte ad una sfida quotidiana organizzativa, ma soprattutto clinica, e di gestione della persona malata. Covid ci insegna ogni giorno la necessità di stare uniti nella multidisciplinarietà, capire dai colleghi gli aspetti di loro pertinenza specialistica e fare squadra per accompagnare la persona malata fuori dall'ospedale fino a farle riprendere una vita normale».

Dalla prima linea della malattia, l’esempio eclatante di come sia possibile lavorare convivendo con il Covid. «In realtà, all’inizio della pandemia siamo stati colpiti, impreparati ed incoscienti. C’era confusione nell’uso dei dispositivi di protezione individuale. A volte non li abbiamo usati correttamente - raccontano Michela Bezzi e Paola Nasta -. La mancanca di consapevolezza del grado di contagiosità, derivata anche dalla sottovalutazione delle notizie che ci giungevano in modo frammentario dalla Cina, ci ha portato a non usare correttamente le mascherine. Siamo stati travolti, la seconda provincia al mondo colpita dalla furia della pandemia e questo ha rallentato la capacità di comprendere.

L’esperienza - continuano Michela e Paola - è stata l’unica maestra. Da quanto tutti abbiamo imparato ad usare correttamente le mascherine, non ci sono stati più contagi tra noi sanitari. Anche per noi, l’unica certezza di difesa dal contagio nei pochi momenti di pausa condivisi, è stato mettere sempre le mascherine e tenere le distanze». Per le specialiste, i tamponi sono utili, ma altro non sono che la fotografia di un preciso momento. Un’istantanea. Da negativo posso diventare positivo ed essere contagioso, pensando di non esserlo. La ricerca degli anticorpi, anche con i kit rapidi, può aiutare ad identificare le persone già immuni e quelle che ancora si potrebbero contagiare.

Si potrà tornare al lavoro? «Sì, perché no. La condizione indispensabile è l'utilizzo delle mascherine appropriate. Sierologie e tamponi potranno aiutarci a inquadrare più correttamente quali persone potrebbero avere bisogno di maggiori attenzioni da parte dei medici».

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia