Costa Concordia, 10 anni dopo nel ricordo dei naufraghi bresciani

Nella notte del 13 gennaio 2012, Francesca Paroni e Andrea Tosi erano a bordo della nave affondata all'isola del Giglio
La Costa Concordia naufragata al largo dell'Isola del Giglio - Foto Ansa/Luca Zennaro © www.giornaledibrescia.it
La Costa Concordia naufragata al largo dell'Isola del Giglio - Foto Ansa/Luca Zennaro © www.giornaledibrescia.it
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Dalla notte del 13 gennaio 2012, per mesi Francesca Paroni prima di andare a dormire è stata perseguitata da un rumore nelle orecchie. Era quello delle pale degli elicotteri che nelle tragiche ore del naufragio sorvolava la Costa Concordia, su cui lei - originaria di Bedizzole e residente a Lonato del Garda - era in vacanza con il marito Andrea Tosi e i due figli, che avevano 9 e 3 anni. «Una paura folle, che ci ha segnati».

A distanza di 10 anni, niente si è affievolito: «È come fosse ieri e non abbiamo intenzione di dimenticare. Nessuno di noi sopravvissuti ce l’ha» spiega Francesca, rivolgendo il pensiero alle 32 vittime del naufragio, di cui lei e i suoi familiari non fanno parte per pura fatalità.

Cosa è successo quella sera

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La videoricostruzione del naufragio della Costa Concordia

Quando il gigante da 114mila tonnellate andò a sbattere contro gli scogli de Le Scole, a 500 metri dall’Isola del Giglio, Francesca Paroni era nel teatro con i suoi figli, mentre il marito era a riposare in cabina. «Stavamo assistendo a uno spettacolo di magia, quando c’è stato lo scossone. Una botta tremenda: eravamo sulla nave da una settimana e sapevo bene che non era un movimento normale». L’istinto è stato subito quello di tranquillizzare i bambini e raggiungere il marito. «Non capivo, mi girava la testa e c’erano continui blackout, ma non ci siamo fatti prendere dal panico. Al buio abbiamo raggiunto la nostra cabina e abbiamo deciso che non ci saremmo più separati per nessun motivo».

Passeggeri accalcati a bordo cercano di mettersi in salvo - Foto Ansa/Carlos Carballa © www.giornaledibrescia.it
Passeggeri accalcati a bordo cercano di mettersi in salvo - Foto Ansa/Carlos Carballa © www.giornaledibrescia.it

Nonostante i membri dello staff continuassero a ripetere di stare calmi perché era «solo un guasto elettrico», la famiglia Tosi con l’amico Marco preferisce la prudenza. «Abbiamo fatto quello che ci era stato spiegato all’imbarco: in caso di emergenza indossare i giubbotti di salvataggio e raggiungere la Muster station al ponte 4, da dove partivano le scialuppe». La voce di Francesca si rompe: «Il ricordo più vivido che ho è proprio quello del momento in cui infilo i giubbetti salvagente ai miei figli». È stata la scelta che ha salvato loro la vita: «Abbiamo aspettato fino a quando non è arrivato il nostro turno sulla scialuppa, insieme a un’altra famiglia di Cremona con cui siamo ancora in contatto tramite Facebook».

Sull'isola del Giglio

Appena toccato terra, il primo pensiero di Francesca è stato cercare una farmacia: «Volevo comprare dei pannolini per il bambino, siamo scesi dalla Concordia che non avevamo più nulla. Niente vestiti, farmaci o giocattoli. Ma eravamo vivi e eravamo insieme». I bresciani hanno trascorso la notte in un appartamento di solito affittato ai turisti, messo a disposizione da un’agenzia immobiliare. «La casetta era proprio affacciata sul porto. Dopo essere riusciti a tranquillizzare e far addormentare i nostri figli, ci siamo messi sul balcone. E lì siamo rimasti tutta notte, atterriti e in silenzio, a guardare quel disastro tremendo da cui eravamo appena scampati».

La Concordia riversa su un fianco, fotografata dall'elicottero - Foto Ansa/Enzo Russo © www.giornaledibrescia.it
La Concordia riversa su un fianco, fotografata dall'elicottero - Foto Ansa/Enzo Russo © www.giornaledibrescia.it

Sull’isola la famiglia Tosi ha voluto tornare dopo pochi mesi: «A luglio del 2012 siamo andati a trovare chi ci aveva aiutati. Volevamo salutare i gigliesi, parlare con loro, dire ancora una volta grazie». Come per chiudere un cerchio. Anche se l’ultimo, incredibile, segno del destino doveva ancora arrivare. Dopo che la vita li aveva messi davanti a un’esperienza tanto forte, i coniugi di Lonato si sono ripromessi che non avrebbero sprecato neanche uno dei preziosi giorni ricevuti in dono. «Abbiamo deciso di avere un terzo figlio: Alessandro è nato nove mesi dopo il nostro ritorno sull’isola».

Il destino in un nome

Il destino ha voluto che venisse al mondo il 14 aprile, giorno del naufragio del Titanic, ma il segno vero è un altro. Due anni fa, leggendo un’intervista, Francesca ha scoperto che il primo militare della Capitaneria di Livorno a mettersi in contatto via radio con la Concordia si chiamava Alessandro Tosi, esattamente come il suo terzogenito. Fu proprio lui, sottocapo in sala operativa, a capire che qualcosa non tornava, dopo che - nonostante i passeggeri chiamassero dalla nave i soccorsi - la plancia di comando continuava a rifiutare interventi di aiuto. «Mi sono messa in contatto con lui e gli ho raccontato la coincidenza. Eravamo entrambi molto commossi».

Il risvolto giudiziario

L'ex comandante Francesco Schettino, a ottobre 2012, in occasione dell'udienza per l'incidente probatorio - Foto Ansa/Maurizio Degl'Innocenti © www.giornaledibrescia.it
L'ex comandante Francesco Schettino, a ottobre 2012, in occasione dell'udienza per l'incidente probatorio - Foto Ansa/Maurizio Degl'Innocenti © www.giornaledibrescia.it

Una storia, quella della famiglia bresciana, che è solo una delle miriadi di esistenze che si intrecciano con il naufragio della nave da crociera. Tra queste, quella del comandante Francesco Schettino, condannato nel 2017 a 16 anni di reclusione, pena che sta scontando nel carcere di Rebibbia. L’ex ufficiale, la cui condotta fu definita dai giudici della Corte Costituzionale «negligente», abbandonò la nave senza prima di assicurare la vita dei passeggeri.

Una valutazione in contrasto con il comportamento che oggi il 61enne tiene in carcere, dove è definito «detenuto modello», studia per laurearsi in Giornalismo e Giurisprudenza e aspetta le visite dei famigliari, tra cui la figlia Rossella. Nel frattempo, i suoi legali sono in attesa di avere il riscontro della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, a cui quattro anni fa hanno chiesto la revisione del processo.

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