Caffaro Brescia, i 51 lavoratori già in cassa: «Lasciati soli»

Continuano a lavorare per evitare che gli inquinanti facciano nuovi danni. Appello dei sindacati al sindaco: «Si faccia vedere, venga a parlarci»
CAFFARO, 51 IN CIG
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Lo stato di agitazione, prima che sulla carta, si rilegge nei loro sguardi. Loro che lì, in quella fabbrica, anche ora come ogni giorno della loro vita negli ultimi anni, ci entrano a testa alta e con un sorriso malinconico. Solo che adesso ci entrano esclusivamente per «tenere al sicuro» la città. Anche se sanno che ormai il posto di lavoro, il loro posto di lavoro, di qui a un anno verrà disintegrato insieme ai muri di quella fabbrica che svanirà con l’avvio della bonifica.

Per la verità, a smantellare il loro contratto hanno già iniziato: dal 1° settembre sono in cassa integrazione straordinaria per cessata attività. Si smaltiscono prima ferie e arretrati, ma poi rimarrà ben poco con cui vivere. Quella di Paolo, di Maurizio, di Oreste e di tutti e 51 i dipendenti che varcano la soglia di via Nullo è una storia da ascoltare. Insieme, rappresentano l’altro volto dell’intricata vicenda Caffaro Brescia: il volto di chi, rimboccandosi le maniche, ha svolto e sta svolgendo - anche ora che in cambio non riceve nulla, se non la prospettiva di rimanere senza impiego - un servizio pubblico per tutti noi. Senza il quale Brescia e la sua falda verrebbero (letteralmente) invase da quegli stessi veleni contro i quali sta combattendo ormai da quasi un ventennio.

Il messaggio, eloquente, anticipa la porta d’ingresso alla fabbrica: «I lavoratori non sono rifiuti». A spiegare cosa sta accandendo, al fianco dei dipendenti bloccati nella coreografia dell’incertezza, ci sono i rappresentanti sindacali di Cgil e Cisl. Che non usano troppi giri di parole: la Caffaro Brescia chiude, «prima del previsto»: l’azienda ha ufficializzato la dismissione della produzione e del sito e la cassa integrazione sta prendendo piede a scaglioni. Nessuno dice che quello spazio non vada bonificato, quel che si chiede - con dignità e garbo - è che non ci si dimentichi di chi sta facendo funzionare la barriera idraulica che consente agli inquinanti di non infestare oltre la città. E, soprattutto, che queste competenze e questa vigilanza, in un sito zeppo di materiali chimici, non vengano disperse ma garantite. Specie in attesa del risanamento ambientale. Perché anche quello che stanno svolgendo loro è, in qualche modo, risanamento ambientale.

«Noi siamo rimasti qui, sapendo bene che un lavoro non lo abbiamo più. Siamo qui per la città, consci che stiamo andando incontro al nostro suicidio, senza creare disagi» spiegano gli operai. Che si sentono soli e abbandonati. Dall’azienda, ma soprattutto dalle istituzioni. «Siamo gli unici a garantire la sicurezza ambientale e ci hanno abbandonato». Un po’ di rabbia c’è, inutile negarlo: «Nessuno si è fatto vedere, nessuno ci ha guardato negli occhi e ha parlato con noi».

L’invito è al sindaco Emilio Del Bono, al quale anche la Cisl rivolge un appello diretto: «Che si faccia vedere e ascolti la viva voce dei lavoratori». Aggiunge Patrizia Moneghini (Cgil): «Se si trattasse di altre fabbriche anche le istituzioni si straccerebbero le vesti. Invece sembra che questi lavoratori debbano pagare il prezzo dell’inquinamento prodotto da altri». Le richieste sul tavolo. Quali, dunque, le richieste? Due i destinatari: la proprietà capitanata da Donato Todisco e il Comune. «Chiediamo che il gruppo Todisco, che ha rilevato la fabbrica e fatto profitti, prima di scappare, apra un confronto vero con le organizzazioni sindacali per trovare una soluzione che mitighi l’impatto della cassa integrazione» spiegano Cgil e Cisl. Una richiesta alla quale finora si è opposto il silenzio assordante. «Alle istituzioni chiediamo di farsi carico del bisogno sociale di lavoro delle maestranze che oggi operano e di reimpiegare questi dipendenti esperti per il mantenimento in sicurezza dell’area. Se ciò non accadesse saremmo di fronte a un paradosso: azienda vecchia e nuova hanno realizzato i loro interessi, il territorio sarà bonificato con finanziamenti pubblici e i lavoratori, invece, si troverebbero abbandonati al loro destino. Questo sarebbe inaccettabile». Lo stato di agitazione è iniziato.

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