Andolina si difende: «Ero contrario, attuai la cura per paura»

In 45 pagine di interrogatorio Marino Andolina ha ricostruito il suo ruolo nella truffa ai danni di pazienti con malattie neurodegenerative
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Ha ammesso di aver effettuato la cura su alcuni pazienti. Ma ha anche spiegato di sentirsi responsabile di non aver fermato quel gruppo di persone «che ha cercato di creare un’altra Stamina». E pure di essere stato «il padrone dell’ospedale di Brescia» il 22 agosto di un anno fa, nel pieno del caso Stamina. 

La verità di Marino Andolina sta nelle 45 pagine di interrogatorio rilasciato dal medico triestino davanti al Gip di Brescia Carlo Bainchetti lo scorso 25 giugno e depositate nei giorni scorsi. Ha parlato per ore Andolina, arrestato nell’ambito dell'inchiesta della Procura che ha fatto luce su una truffa ai danni di pazienti affetti da malattie neurodegenerative ai quali veniva proposta, e somministrata, una terapia definita «innovativa». Tra gli arrestati anche il medico bresciano Erri Cippini, Ivana Caterina Voldan, Monica Salvi e Stefano Bianchi. Si presentavano come componenti della fondazione Amici di Raoul, mai realmente costituita, e incassavano i soldi per le cure su conti svizzeri. 

Persone che Andolina in interrogatorio racconta di conoscere. Così come conosce bene il laboratorio svizzero dove la «cura» veniva preparata. «In quel laboratorio ho trovato gli scienziati migliori d'Europa. A dicembre avevamo anche trovato la cura per l’Ebola» spiega il medico triestino. La terapia con staminali ? «Non ci sono evidenze che faccia male, ma non so se funzioni. Non è pericolosa» è la versione di Andolina che si definisce «un pensionato depresso» e che «non sapendo cosa fare mi sono affascinato dell'argomento e sono diventato quasi un esperto di esosomi». 

Il primo contatto di Andolina con la «fondazione» avviene a Brescia il 22 agosto di un anno fa quando Andolina era ausiliario del Giudice e somministrò ad un paziente l'ultima iniezione autorizzata, attraverso il discusso metodo Stamina, bandito qualche mese dopo. Cura effettuata nei laboratori degli Spedali Civili. «Quel giorno ero il padrone dell'ospedale, però anche padrone di me stesso» ha raccontato Andolina ai giudici. Proprio nei pressi del Civile il medico spiega di aver incontrato lo stesso 22 agosto due degli indagati: Stefano Bianchi e Monica Salvi. «Mi dicono che la mattina dopo sarebbero arrivati quattro o cinque pazienti a farsi la terapia perché hanno detto che l'avrei fatta io». Andolina giura «Ho detto subito no. Usavano il mio nome perché io in quel periodo ero il Santo». Racconta di aver parlato con il responsabile del laboratorio svizzero pure lui indagato: «Gli ho detto, se te lo impongono, dagli in mano cinque fiale di soluzione fisiologica e dopo ci penso io a fermare tutto». 

Ma il giorno successivo Andolina non si ferma. «Bianchi mi porta in un motel, mi trovo nell'atrio la gente che mi guarda con gli occhio adoranti. E in quattro stanze erano già pronte fiala e siringa». Andolina in interrogatorio racconta di aver provato a convincere i pazienti a non effettuare la cura e a farsi ridare il denaro speso. Ma davanti alla rabbia di un genitore- spiega - ha ceduto. «In pochi secondi ho deciso: faccio il placebo alla bambina perché credo che per lei sia il danno minore. Meglio un butterfly sottilissimo, che non se ne accorge neanche, che vedere il papà dare in escandescenze. E dopo non ho potuto negarlo ad altri». Andolina al Gip aggiunge: «Devo dire che in quel momento ritenevo fosse una scelta necessaria. Da quel giorno però il mio linguaggio è peggiorato nei confronti della fondazione e non ho più avuto rapporti con loro». E alla domanda «ha preso soldi per sommistrare la cura? » Andolina risponde: «Mai, neanche per la benzina. Mi sono rovinato spendendo».

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