Acqua, i due modelli: stesse tariffe, col misto s’investe di più

Il confronto è solo all’inizio. Ma ora si gioca a carte scoperte. E le carte dicono che se entrambi i modelli per la gestione del ciclo idrico (misto pubblico-privato e 100% pubblico) sono validi, a parità di aumento delle bollette, il misto garantisce più investimenti.
E la Provincia di Brescia ha un forte bisogno di interventi per ridurre le perdite degli acquedotti e realizzare depuratori così da evitare le multe di Bruxelles e salvaguardare le acque di fiumi e laghi.
La vicenda
Il modello misto era stato scelto nel 2015: controllo pubblico con socio privato (40-49%) da individuare tramite gara. Nel 2018 si è però tenuto un referendum consultivo provinciale per chiedere che il gestore unico del ciclo idrico resti al 100% pubblico: votò il 22%, vinsero i sì con il 96%. Da allora la questione è rimasta in stand by e Acque Bresciane, la società che pian piano dovrà assorbire tutti i 205 Comuni, è rimasta totalmente pubblica.
Ora il dossier è stato preso in mano dalla commissione ciclo idrico del Broletto, insediata poco prima di Pasqua e dove ieri è stato presentato lo studio che mette a confronto i due modelli, pubblico (in house) e misto. Studio che la Provincia aveva chiesto lo scorso autunno ad Ato e Acque Bresciane, realizzato dalla società di consulenza Agenia e che dovrebbe aiutare consiglieri provinciali e sindaci nella scelta.
L’analisi
La prima parte dello studio analizza il subentro di Acque Bresciane in quei Comuni oggi gestiti da A2A (67 per l’acquedotto, 57 per la fognatura, 54 per la depurazione): Agenia stima che da qui al 2032 A2A relizzerà 328 milioni di investimenti. Nel 2033, quando avverrà il passaggio, ad A2A andrà riconosciuto un valore di subentro di 429 milioni per l’acquisizione del ramo d’azienda (cessione degli asset e remunerazione degli investimenti realizzati e non ancora ripagati con la tariffa). Per farlo Acque Bresciane accenderà un prestito con tasso di interesse al 3%. A quel punto però la società incasserà le bollette di tutti gli utenti di tutti i Comuni bresciani, raddoppiando i propri numeri. Il confronto. Lo studio mette poi a confronto i due scenari, in house e misto.
Come ha spiegato il presidente di Acque Bresciane Gianluca Delbarba, entrambe sono ipotesi sostenibili. Questo vuol dire che Acque Bresciane è in grado di portare avanti il piano investimenti in autonomia (tanto più se i Comuni che già sarebbero dovuti passare alla società - con relative tariffe - non venissero bloccati dagli attuali gestori). Resta che la bilancia, in base allo studio Agenia, pende per il sistema misto.
«La configurazione di società mista, con l’arrivo di un partner industriale e finanziario, renderebbe possibile la realizzazione di un montante investimenti più elevato rispetto alla scenario in house con risultati complessivamente migliori in termini di redditività a parità di crescita media della tariffa» si legge nel report. Il partner industriale sarebbe scelto tramite gara ed entrerebbe in Acque Bresciane con un aumento di capitale dedicato stimato in 60 milioni di euro (20 l’anno dal 2025 al 2027).
«L’apporto di capitale privato permette di finanziare investimenti aggiuntivi per complessivi 173,5 milioni di euro, di cui 60 milioni finanziati direttamente dall’aumento di capitale effettuato dal socio privato, 113,5 garantiti dai flussi tariffari incrementali generati dai maggiori investimenti». La maggior mole di investimenti non genererebbe però bollette più salate: entrambi i modelli prevedono un incremento annuo delle tariffe attorno all’1,5%. D’altro canto il pubblico garantirebbe il controllo totale da parte dei soci (pubblici) e la «possibilità di reinvestire integralmente gli utili di esercizio in nuovi investimenti». Nel misto è invece prevista una distribuzione del 30% dell’utile a tutti i soci, dal 2029 allo scadere delle concessioni (2045).
Il giudizio
Insomma, il modello misto «appare tendenzialmente preferibile» perché sotto il profilo industriale «permette di ottenere maggiori investimenti, performance gestionali e operative più elevate, maggiori economie e sinergie sui costi operativi (e quindi magguori flussi di cassa) a parità di tariffe» mentre sul fronte finanziario dà «maggiori garanzie» per l’acquisizione della gestione A2A (429 milioni). Infine vi sarebbe una «qualità tecnica e contrattuale più elevata».
La politica
Fin qui la valutazione tecnica. La scelta finale, spiegano i consulenti di Agenia, «necessita di essere integrata con le valutazioni di carattere politico-amministrativo proprie degli enti competenti». Se entrambi i modelli sono validi e sostenibili, «la scelta è politica», aveva già spiegato al GdB il consigliere delegato e presidente della commissione Ciclo idrico, Marco Apostoli. E l’accordo politico che sostiene la maggioranza di Samuele Alghisi in Provincia prevede che si vada verso il sistema pubblico (anche se non mancano le voci contrarie, come il vicepresidente Guido Galperti).
Ad esprimersi dovranno essere Broletto e assemblea dei sindaci. Ma è sufficiente una valutazione politica per giustificare la scelta di cambiare modello gestionale? I primi approfondimenti giuridici dicono di no. Servirebbe uno studio che dimostri come l’in house sia la scelta migliore per i cittadini, quella in grado di gestire il servizio ai costi più competitivi. Altrimenti ci potrebbe essere il rischio di un ricorso al Tar. Cosa che dilaterebbe ancor di più i tempi della scelta.
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