«A Canton Mombello un vero incubo, per farcela servono altre misure»

Parla un ex detenuto del carcere di via Spalto San Marco.«Chi non entra nemmeno può immaginarsi cosa ci sia lì dentro»
L'interno di Canton Mombello - Foto Gabriele Strada Neg © www.giornaledibrescia.it
L'interno di Canton Mombello - Foto Gabriele Strada Neg © www.giornaledibrescia.it
AA

Ha scelto di farsi chiamare Eric Mombello. Nome di fantasia con una base di verità. «Quel Mombello» che ricorda il suo periodo più recente. «Trascorso in carcere da incensurato per una vicenda vecchia nel tempo» racconta un ex ospite del penitenziario di via Spalto San Marco. «Chi non entra nemmeno può immaginarsi cosa ci sia lì dentro».

Che situazione ha trovato?

«Non credevo potesse esistere e soprattutto essere permessa una condizione detentiva così drammatica e vergognosa in Italia e a Brescia. Sovraffollamento asfissiante, problemi di igiene, assenza di sicurezza personale garantita sono le immediate criticità che ho trovato appena arrivato. Il problema maggiore è la disorganizzazione che non favorisce il percorso rieducativo».

Lei è entrato da incensurato, è un carcere che può ospitare detenuti al primo arresto?

«Questa domanda centra davvero il principale problema di Canton Mombello, dove l’incapacità cronica di riuscire a mettere a disposizione percorsi di reinserimento mette a soffocante contatto chi ci entra la prima volta, e che ha davvero voglia di cambiare la propria condotta per avere finalmente una vita positiva, con chi in cella c’è da tempo. Gente che ti insegna come funziona e che sa che ci tornerà. Più che primo arresto, se lo sconti a Canton Mombello e senza accesso a misure alternative, è statisticamente "non l’ultimo arresto"».

Nelle scorse settimane una detenuta è morta a Torino durante lo sciopero della fame, a Verziano un uomo ha scioperato per un mese. Come vengono vissute queste situazioni?

«Se avviene una morte per fame in carcere il responsabile della salute del detenuto dovrebbe essere immediatamente sollevato dall'incarico. Se una persona va in carcere per essere custodita, rieducata e muore dopo venti giorni che non mangia, qualcuno ne è responsabile. La disperazione di chi si toglie la vita in carcere è atroce. È l’unico modo per denunciare il proprio dramma. Spesso la disperazione è dovuta al fatto che non viene permesso di cambiare e riscattarsi. Ho visto in tv un’intervista alla garante dei detenuti di Torino che si è definita "molto presente" e "non informata sulla situazione della detenuta che si è tolta la vita". Due affermazioni difficilmente conciliabili. A Canton Mombello non sarebbe possibile: la garante c’è davvero. Non solo con corsi settimanali ed iniziative per far incontrare la società esterna con i detenuti, ma c'è per ascoltare tutti i detenuti che richiedono di parlarle».

Quanto è stato in carcere?

«Un anno e qualche giorno: mi sentivo ed ero giudicato "pronto per uscire" dopo sei mesi. Dentro sono diventato amico di ragazzi: uno si è messo del cotone in bocca ed ha improvvisato un travestimento da clown per rapinare alle 9.30 del mattino, e pretendere imbarazzato l’incasso di 190 euro, il supermercato sotto casa dove lo conoscevano per nome. Era sotto psicofarmaci. È un ragazzo d’oro: si è beccato sette anni. L’altro è in cella dopo le segnalazioni di vicini di casa per i litigi con la madre. Chiama mamma quasi ogni giorno piangendo: ha preso 10 anni».

Oggi si parla molto di misure alternative. Ne ha avuto diritto ed è riuscito a sfruttare questo strumento?

«Un italiano ha statisticamente più possibilità di accesso alle misure alternative perchè ha più contatti sul territorio: reperimento di alloggio e lavoro, possibilità di capirsi meglio con Sert e assistenti sociali del territorio. La misura alternativa è l’unico strumento efficacie che ha la società per riaccogliere in quasi totale sicurezza le persone che sono state private della libertà. Chi ne ha beneficiato difficilmente è tornato a delinquere. Invece chi ha scontato l’intera pena in carcere poi è tornato in cella nell’ 80% dei casi».

Una volta fuori: quanto è difficile ripartire e soprattutto, è possibile trovare lavoro presentandosi come ex detenuto?

«Fuori cambia tutto, se ce la fai ad uscire da quell’incubo. Io ho trovato tutta la competenza e la capacità di aiutarmi nel reinserimento che non credevo esistesse dopo essere stato a Canton Mombello. Ho quindi subito ripreso fiducia nelle istituzioni e mi ci sono affidato. E le cose stanno andando davvero benone. Mi mancano ancora due mesi prima di concludere la condanna. L’Uepe è l’Ufficio Espiazione Pena Esterna e il funzionario che mi segue sa tutto di me e oltre che aggiornarsi spesso con me si interfaccia con i carabinieri del mio Comune, col Sert che frequento settimanalmente e con la ditta che mi assume e quella che mi assumerà a fine contratto. È un controllo a 360 gradi che mi aiuta e tutela la società che mi riaccoglie. Il lavoro fuori lo si trova, ci si può addirittura concedere il lusso di sceglierlo. La legge Smuraglia prevede fortissimi sgravi fiscali per chi assume un detenuto. Il Certificato di svantaggio che permette gli sgravi inspiegabilmente da dentro a Canton Mombello non viene rilasciato. Una volta fuori se hai voglia di lavorare un impiego lo si trova».

Icona Newsletter

@News in 5 minuti

A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato