Sfogo dal carcere di Canton Mombello: «Qui è un inferno»

Una lunga lettera-sfogo per raccontare, ancora una volta, «l’inferno che si vive dentro Canton Mombello». È quella che ci ha inviato un detenuto, a pochi giorni dalla morte dietro le sbarre del penitenziario cittadino di un 50enne stroncato da un arresto cardiaco, dopo aver palesemente dimostrato insofferenza alla vita in carcere con una serie di atti autolesionistici. «Quanti ragazzi ho visto ridotti a larve, tutti tagliuzzati se non gravemente auto lesionati» scrive il detenuto.
«Questa è stata una settimana tranquilla: il morto se n’è andato in silenzio e da qualche giorno niente incendi e devastazioni; il Comandante non ha preso schiaffi e gli appuntati dopo il lavoro fortunatamente sono tornati a casa dalle loro famiglie e non all’ospedale». È il racconto di una situazione drammatica.
«L’altro giorno, mentre qualcuno sbatteva e urlava pretendendo gli psicofarmaci nel corridoio dell’ambulatorio, la psichiatra con aria sconfitta mi ha detto: "mi sembra di essere in una piazza di spaccio". Secondo voi che succede ad un ragazzo che non ha disturbi psichiatrici quando inizia ad assumere psicofarmaci?».
«C’è chi cede»
Il detenuto scatta poi una fotografia di chi oggi è sta scontando la pena o attende il giudizio in una delle carceri più sovraffollate d’Italia. «Chi ha paura ad uscire dalla cella. Chi è solo. Chi fumava spinelli o usava droghe. Chi beveva. Chi attende da troppi mesi l’incontro con l’educatore del Sert per andare avanti col “percorsino”. Chi sta perdendo i denti e non può curarseli nemmeno pagando. Chi perde la patente perché qua la commissione non entra. Chi ha la madre in punto di morte e non gli è concesso nemmeno di vederla per l’ultimo saluto. Chi non riesce ad avvertire genitori lontani di essere vivo. Chi ha migliorato la propria condizione grazie alle telefonate quotidiane alla famiglia e che adesso viene punito con una sola telefonata alla settimana».
L’elenco si ferma al punto di non ritorno. «C’è chi ha gli scarafaggi in cella e pulisce l’unico piatto con la spugnetta di melanzana. Chi va al bagno solo quando c’è qualcuno che lo aiuterà a rialzarsi dalla turca. E poi c’è chi è debole e cede. Cede allo sconforto, alla depressione, alle pilloline, alle gocce, alla violenza, e così rinuncia alla speranza di migliorarsi. Cede a questa strana dimensione che non ha nessun senso».
Guardare fuori da Canton Mombello vuol dire avere una speranza. «Da qui - conclude il detenuto - tutti cercano di fuggire al vicino Verziano dove però ci hanno detto che ci va “chi se lo merita”».
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