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«Il Covid mi ha rubato 81 giorni di vita: mi sento miracolato»

Tanto ha trascorso in ospedale Enrico Paris: «Ho perso 15 chili, cammino male, ma sono salvo»
Enrico Paris (al centro) tornato venerdì pomeriggio a casa - © www.giornaledibrescia.it
Enrico Paris (al centro) tornato venerdì pomeriggio a casa - © www.giornaledibrescia.it
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Anche il ritorno a casa è stato per certi versi traumatico. «Mi sembra tutto così strano. Sono contentissimo, ma anche spaventato». Impossibile non comprendere lo stato d’animo di chi ha rischiato davvero di morire a causa del Covid-19.

La nuova vita di Enrico Paris, 47enne di Comezzano Cizzago è iniziata venerdì. Dopo 81 giorni d’ospedale, un mese di coma e il ricovero in tre strutture diverse. A Chiari, poi a Rozzano e infine al Don Gnocchi di Rovato per la rieducazione. «I medici mi hanno detto che sono un miracolato» racconta dal salotto di casa mentre, con la mascherina che abbassa solo per una fotografia di gruppo, riabbraccia la compagna Silvia, il fratello Stelio ed il cognato Saulo.

Una famiglia intera che ha fatto il tifo per lui per quasi tre mesi e che ad un certo punto, nella fase più critica, è stata chiamata a prendere decisioni per Enrico, che per quattro settimane è rimasto in coma, sdraiato a pancia in giù per favorire la respirazione scandita da un macchinario. «I medici hanno dovuto chiedere a mio fratello l’autorizzazione ad effettuare la tracheotomia perché non potevo più rimanere intubato» spiega il 47enne.

Il calvario, «non lo chiamerei in modo diverso» ammette, è iniziato il 16 marzo. «Faticavo a respirare, mi bruciavano i polmoni e avevo la febbre. Sono andato all’ospedale di Chiari, il più vicino a casa». Il ricovero è immediato e gli esami non lasciano dubbi: «Il tampone è positivo al Covid e per tre giorni resto attaccato all’ossigeno sdraiato su un lettino. Poi il 20 marzo mi portano nel reparto di cardiologia e mi intubano. Da quel momento non ricordo più niente».

La cronaca del calvario di Enrico racconta che il bresciano due giorni più tardi viene trasferito all’ospedale Humanitas di Rozzano, nel Milanese, perché al Civile non c’è posto. «I miei parenti mi hanno riferito che il 22 marzo i medici avevano detto che non erano sicuri che io riuscissi a superare la notte». Ma proprio nella fase più critica, il quadro inizia a migliorare. «Sono rimasto in coma fino a quando grazie al cortisone non ho iniziato a stare meglio. Di quelle settimane addormentato ho solo una vaga immagine: mi sentivo a bordo di un treno che continuava a girare senza mai fermarsi. Ancora oggi - spiega - se mi fermo a pensare mi viene in mente il Freccia rossa che gira, gira e gira».

La ripresa è stata molto lenta. «Un recupero difficoltoso perché di fatto i miei polmoni sono stati operativi solo al 30%. E poi quando sono entrato in ospedale pesavo 85 chili e ora sono 70. Per non parlare del formicolio continuo che sento alle gambe e alle difficoltà che ho a camminare dopo tanto tempo rimasto sdraiato a letto». Da venerdì pomeriggio però il 47enne è finalmente a casa. «Gli ultimi quattro tamponi sono risultati tutti negativi. La fisioterapia non è ancora finita e dovrò proseguire per altri due mesi mentre tutte le mattine misuro la pressione e la concentrazione di ossigeno nel sangue. Lo ammetto: ho paura perché mai avrei pensato di vivere una situazione così e 81 giorni di ospedale restano un incubo che non auguro a nessuno»

 

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