Omicidio Bozzoli, per la difesa: «L'ergastolo una sentenza ingiusta»

Così l'avvocato Luigi Frattini ha introdotto la sua arringa nel corso del processo d'appello. Il 17 novembre la sentenza
  • Omicidio Bozzoli, in aula per il processo d'appello
    Omicidio Bozzoli, in aula per il processo d'appello
  • Omicidio Bozzoli, in aula per il processo d'appello
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«Una sentenza ingiusta, come in cinquant’anni di carriera non ne avevo mai lette». Queste le parole con le quali ha introdotto la sua arringa l’avvocato Luigi Frattini, difensore di Giacomo Bozzoli, nel corso del processo d’appello per l’omicidio dello zio. È ingiusta, secondo il difensore del nipote condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’8 ottobre del 2015, perché si basa esclusivamente su illazioni e non su prove reali, concrete. Ingiusta perché avviene su un fatto diverso (il concorso nell’omicidio con altre due persone) e commesso con modalità differenti (l’aggressione mortale all’interno della fonderia e la soppressione del cadavere nel forno) rispetto a quello inizialmente contestato all’imputato (ovvero l’omicidio commesso in solitaria, con lo smaltimento del cadavere lontano dall’azienda). 

La sentenza per la difesa è ingiusta anche perché non tiene conto di alcune spiegazioni «più che plausibili - ha detto Frattini - fornite nel corso del processo di primo grado e non valorizzate dalla Corte d’assise». In particolare l’avvocato ha ricordato che le telecamere di sorveglianza non furono girate, come sosteneva l’accusa, per evitare le riprese e quindi prove dell’aggressione mortale, ma erano state puntate altrove per controllare i dipendenti sospettati di furto di alcuni rottami di valore. Ribadendo l’assenza di elementi probatori a carico e semmai l’esistenza di prove che impongono l’assoluzione di Giacomo Bozzoli, l’avvocato Frattini ha sottolineato che «i Ris prima e l’anatomopatologa Cristina Cattaneo poi non solo non trovarono tracce di aggressione in tutta la fonderia, ma nemmeno tracce di organismo umano nel forno».

Quello che non torna

Per il difensore dell’imputato a non tornare inoltre sono i tempi. Pur considerando quelli ricalcolati dagli inquirenti l’imputato - stando al suo difensore - il nipote non poteva essere nel luogo dove si sarebbe consumato l’omicidio, un testimone infatti lo vede lontano dal forno nel momento della fumata anomala passata alla storia del delitto come il momento in cui il cadavere di Mario Bozzoli venne distrutto.

In conclusione l’avvocato Frattini ha affrontato il capitolo Ghirardini, l’operaio della fonderia addetto al forno nel quale sarebbe stato distrutto il cadavere di Mario Bozzoli, scomparso cinque giorni dopo la sparizione del suo datore di lavoro e trovato suicida a case di Viso dieci giorni dopo. La difesa ipotizza che le otto banconote da 500 euro trovate nell’appartamento dell’operaio potessero essere un prestito del suo datore di lavoro, proprio Mario Bozzoli. E ritiene che le dodici telefonate fatte da quest’ultimo nei due giorni precedenti la sua scomparsa a Ghirardini, undici delle quali rimaste senza risposta, fossero finalizzate al rientro del credito e che avrebbero comunque meritato tutt’altro approfondimento dagli inquirenti.

«Ghirardini era una persona estremamente impulsiva e violenta. Che non risponde al suo datore di lavoro per undici volte. Non ho le prove per affermarlo, ma posso comunque dire - ha affermato l’avvocato Frattini - che mi sembra più vicina alla realtà l’ipotesi che Mario Bozzoli abbia trovato Ghirardini sul posto di lavoro, davanti al forno, e che gli abbia chiesto spiegazioni e che da lì, l’impulsività e la violenza di quest’ultimo… Meno credibile mi sembra l’ipotesi che vede il povero Giacomo Bozzoli mandante di un omicidio che non aveva nessun interesse di compiere e del quale non c’è alcuna prova».

Ultimato l’intervento della difesa, che ha chiesto l’assoluzione dell’imputato, il presidente della Corte d’assise d’appello Claudio Mazza ha aggiornato il processo al 17 novembre prossimo per le repliche e soprattutto per la sentenza.

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