Moria di pesci nel Mella a Sarezzo: vertici Ottoman assolti

Per il giudice gli olii esausti non provenivano dall’azienda
L'allarme era partito dalla morte di decine di pesci - © www.giornaledibrescia.it
L'allarme era partito dalla morte di decine di pesci - © www.giornaledibrescia.it
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Gli olii esausti nei quali galleggiavano decine di pesci morti, nel Mella, non li aveva sversati la sua azienda. A sostenerlo il giudice Mauroernesto Macca che, cinque anni dopo l’avvio dell’inchiesta, ha assolto con formula piena dall’accusa di inquinamento ambientale il 65enne rappresentante legale della Ottoman spa di Sarezzo.

L’imprenditore era finito a processo sulla scorta delle indagini compiute a partire dal 2017 dai carabinieri del Noe coordinati dal sostituto procuratore Ambrogio Cassiani. Difesi dall’avvocato Alessandro Stefana e dall’avvocato Gianluigi Bezzi l’imprenditore saretino e l’azienda, sulla scorta di consulenze tecniche che hanno escluso ogni forma di compatibilità tra i combustibili trovati nel fiume e addebitati alla Ottoman e quelli utilizzati nel suo ciclo produttivo, hanno sostenuto che gli olii trovati nel Mella dipenderebbero da un altro tipo di ciclo produttivo.

Per il Tribunale di Brescia insomma non trova riscontro la tesi che aveva sostenuto la Procura della Repubblica dal 2017 in avanti secondo la quale all’impresa sarebbe costato meno acquistare tonnellate di olio combustibile rispetto alle manutenzioni che avrebbero messo a norma gli impianti e contenuto sensibilmente i consumi. Per chi aveva indagato infatti l’impresa sversava illecitamente poi gli idrocarburi esausti in modo continuo e incontrollato nel fiume Mella, provocando la moria di pesci che era stata rilevata dall’Arpa e anche l’effetto «spugna» del terreno impregnato.

Per il 65enne titolare dell’impresa si era ipotizzata la violazione dell’articolo 452 bis del codice penale che punisce con la reclusione fino a sei anni chi abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili delle acque o dell’aria o di porzioni di suolo e sottosuolo. Ieri invece il giudice ha accolto la tesi della difesa: l’origine di quell’inquinamento deve essere cercata da un’altra parte.

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