Delitto Bozzoli: contro il nipote una app del suo telefonino

Trenta minuti, anche qualcosa meno, per uccidere lo zio e far sparire il suo cadavere. Tanto per la Procura Generale di Brescia, titolare delle indagini sull’omidicio di Mario Bozzoli, avrebbe impiegato suo nipote Giacomo per compiere il delitto in cerca di un autore dall’8 ottobre di cinque anni fa.
Una mezz’ora scarsa, che scarsa per gli inquirenti non è. Soprattutto se, come ritengono l’avvocato generale Marco Martani e il procuratore aggiunto Silvio Bonfigli, il quarantenne unico imputato per l’omicidio dello zio ha avuto mesi, se non anni, per alimentare un piano omicidiario covato da tempo - come ha avuto modo di dire in incidente probatorio una sua ex fidanzata - e tutto il tempo necessario per curarne i dettagli.
E dettagli non mancherebbero nelle le 5mila pagine del fascicolo dell’accusa. La loro lettura d’insieme, per gli inquirenti, conferma tutto l’odio nutrito da Giacomo Bozzoli nei confronti del fratello del padre e chiarisce la dinamica del delitto. Anche se manca la «pistola fumante», quello che nel fascicolo c'è dimostrerebbe che il primo ha atteso il secondo nello spogliatoio, l’ha chiuso al suo interno e ucciso, per poi infilare il suo cadavere in un sacco a tenuta stagna, caricarlo nel bagagliaio della sua Porsche Cayenne e sbarazzarsene.La sequenza ricostruita dalla Procura generale inizia alle 19 e 13 di quella sera di inizio ottobre di cinque anni fa. Mario Bozzoli è in azienda, alla guida del muletto e senza dubbio (lo dicono i tabulati telefonici) al telefono con la moglie Irene che da allora attende il processo con i figli e i suoi legali, gli avvocati Vanni e Vieri Barzellotti. Le sta annunciando la sua partenza da Marcheno. «Vado a cambiarmi e arrivo», le dice. Che l’imprenditore, proprio in quegli istanti, fosse diretto verso lo spogliatoio lo ha confermato Aboagye Abu Akwasi, l’operaio senegalese che per ultimo ha visto Bozzoli in vita.
Nelle scorse settimane, di rientro dall’Inghilterra dove è andato a vivere, l’ex dipendente della fonderia (inizialmente indagato in concorso poi archiviato) è stato nuovamente interrogato dagli inquirenti. Ha ribadito di aver visto il suo datore di lavoro andare verso il locale con gli armadietti di tutti i dipendenti, il cui ingresso era all’epoca nascosto dalle montagne di rottami.
Ma soprattutto avrebbe tirato indietro le lancette dei minuti di qualche scatto, azzerando quelle che per gli inquirenti erano ingiustificate incongruenze temporali. A posizionare Giacomo Bozzoli nello spogliatoio dove per l’accusa lo zio si è diretto subito dopo aver incontrato Abu, non è un testimone in carne ed ossa, ma una app del cellulare dell’imputato: iHealth.
Si tratta di un’applicazione che registra i movimenti e le funzioni vitali di chi utilizza il telefono. L’iPhone di Giacomo Bozzoli (posto sotto sequestro e analizzato dai carabinieri) negli istanti cruciali del delitto - tra le 19 e le 19.18 di quella sera - non ha catalogato suoi movimenti. In quegli stessi istanti, inoltre, ha suonato a vuoto due volte (in entrambi i casi per una telefonata della moglie), per poi riprendere ad annotare l’attività vitale dopo le 19.18, una volta che per gli inquirenti l’omicidio era già stato consumato.
iHealth, per chi accusa, non offre suggestioni, ma spunti concreti d'accusa: descrive l'imputato in immobile e silenziosa attesa nello spogliatoio, fino all’arrivo dello zio e al momento della sua personale resa dei conti.
Sono le telecamere di sicurezza e le celle telefoniche ad aiutare gli inquirenti a ricostruire il resto di quella mezz'ora. Sono le 19.33 quando Giacomo Bozzoli si avvia alla volta di Soiano, dove vive. Il nipote, subito dopo essersi lasciato alle spalle l’abitato di Gardone Valtrompia inverte la marcia e torna in azienda, dove la sua presenza è segnalata alle 19,43. Che a Marcheno l’imputato torni per dare istruzioni ad un operaio circa la ricetta di metalli da infornare - come spiegò lo stesso agli inquirenti - o per controllare di non aver lasciato in giro prove compromettenti - come sembrano propensi a ritenere gli inquirenti - per l’accusa non è determinante.
Come non è determinante stabilire se si ripresenti a Marcheno con il corpo dello zio nel bagagliaio o meno. Quello che è decisivo, per l’accusa, è quello che è già accaduto all’interno dello spogliatoio: ultimo «domicilio» conosciuto dello zio, nel quale, proprio in quei minuti, per l'accusa, c’era anche il nipote.
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