Caso Bozzoli, la moglie: «Mi fa male l'omertà di Marcheno»

Parla Irene Zubani, vedova di Mario Bozzoli: «Dal processo mi aspetto che mi dicano cosa è successo a mio marito»
Loading video...
IL GIALLO DI MARCHENO
AA

Il prossimo sarà il sesto Natale che trascorrerà senza il marito. Sparito nel nulla. Ucciso per chi indaga. Andato via volontariamente per la difesa dell'unico accusato di omicidio volontario. «Questa cosa non la voglio nemmeno sentire» si sfoga Irene Zubani.

La vedova di Mario Bozzoli è sempre stata presente in aula, al fianco dei due figli, durante l'udienza preliminare che ha portato al rinvio a giudizio del nipote Giacomo. Ora dopo cinque anni c'è la certezza che un processo inizierà.

Ha mai temuto che questo giorno potesse non arrivare?
«Prima dell'avocazione dell'inchiesta da parte della Procura generale ho avuto il timore che tutto potesse finire nel nulla. Il tempo passava e sembrava che non si sbloccasse la vicenda. Poi invece con le nuove indagini sono stati raccolti tanti elementi e ora qualcuno dovrà rispondere ai molti interrogativi che migliaia di pagine di inchiesta hanno fatto emergere».

Quel qualcuno è Giacomo Bozzoli, unico accusato di omicidio volontario e distruzione di cadavere. Lo ha più incontrato? 
«Mai più da quando l'azienda è fallita».

Anche in aula non è mai stato presente…
«Non mi ha stupito il suo atteggiamento. Fino a quando ha potuto si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere e quindi non mi ha sorpreso non vederlo in tribunale».

C'era però Adelio, il padre di Giacomo e fratello di suo marito Mario…
«É stata una sensazione forte vederlo come parte offesa accanto all'avvocato del figlio».

Vi siete più parlati?
«Assolutamente no».

La difesa rigettando le accuse nei confronti dell'unico coinvolto ha detto che Mario Bozzoli se ne è andato con le sue gambe dall'azienda. Cosa ha provato?
«Rispondo come il mio avvocato. Sono frasi da bar e non le accetto. La vita di mio marito è stata scandagliata in tutto e per tutto. Hanno guardato il telefono, i conti correnti, ricostruito le abitudini e le amicizie. Non è emerso nulla di anomalo. Era un uomo di 50 anni pieno di vita, di progetti e di idee. Un padre e un marito apprensivo. E lo è stato fino alle 19 e 13 di quel maledetto 8 ottobre quando mi ha telefonato per dirmi che si sarebbe cambiato per poi arrivare a casa. Secondo voi può essersene andato un minuto dopo? Assurdo. E poi chiunque conosceva Mario sa dove lui aveva il cuore: nella famiglia e nel lavoro. Come può uno pensare di scappare lasciando il cuore, abbandonando i figli, distruggendo la vita di tutti noi. Mai, mai, mai lo avrebbe fatto»

L'unica ipotesi è quindi l'omicidio.
«Senza dubbio. In azienda è successo qualcosa e qualcuno gli ha fatto del male. Chi c'era quella sera in fonderia sa come sono andate le cose. Se fosse stato buttato nel forno sarebbero state trovate tracce che invece non ci sono».

Gli inquirenti ritengono che suo marito sia stato portato via sull'auto di Giacomo Bozzoli sulla quale non sono però state trovate tracce.
«Era impossibile uscire dall'azienda senza essere visti se non a bordo di un'auto. E Mario non è uscito con la sua questo è certo. Il processo ora servirà per dimostrare quanto ricostruito dalla Procura».

Che giudizio da alle indagini svolte in cinque anni?
«É stato fatto un lavoro enorme. Probabilmente all'inizio avremmo potuto avere un morto in meno…».

Il riferimento è a Giuseppe Ghirardini?
«Si».

Cosa pensa del caso dell'addetto ai forni? Il 23 dicembre sarà discussa l'opposizione all'archiviazione del fascicolo per istigazione al suicidio.
«Non credo sia collegato alla vicenda di mio marito, ma collegatissimo. Che tipo di collegamento spero emerga dal processo. Mi piacerebbe sapere poi perché i due colleghi intercettati parlando tra loro dissero "se Beppe racconta qualcosa di sbagliato siamo nei casini". Cosa temevano? Cosa poteva raccontare Ghirardini?».

Cosa si aspetta dal processo?
«La verità. Di avere finalmente risposte. Mi aspetto che mi dicano cosa è successo a mio marito».

Lei e i suoi figli vivete ancora a Marcheno?
«No, torno ogni tanto in Valle per trovare mia madre e basta. Mi faccia dire una cosa a proposito».

Prego…
«La ferita più grande che mi ha lacerato dopo la morte di Mario è l'omertà di Marcheno. Mario meritava di più. Da tutti. Dalla gente che lo conosceva e dai suoi colleghi di lavoro. Davanti ad un caso così non ci può girare dall'altra parte e dire: "Mi faccio i fatti miei". Ci sono state certo delle persone sincere, ma troppe non parlano e dopo la scomparsa di mio marito è quello che più mi fa male».

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato