Valcamonica

Tra i graniti del Tredenus ricordando Beppe e Severangelo

L’omaggio in Valcamonica di tre scalatori a Battaini e Chiaf, che 30 anni fa tracciarono una nuova via
L’impresa alpinistica ricordando Beppe e Severangelo - © www.giornaledibrescia.it
L’impresa alpinistica ricordando Beppe e Severangelo - © www.giornaledibrescia.it
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L’alpinismo non è un’attività sportiva come le altre: è una forma di arte che coniuga azione, intuizione, tecnica, coraggio. Qualche volta anche coinvolgimento emotivo, omaggio, ricordo. È a questi ultimi significati che rimanda la storia semplice ma evocativa di una salita effettuata nelle scorse settimane sul Gemello Settentrionale di Tredenus, possente e affascinante struttura dell’omonimo sottogruppo del massiccio dell’Adamello.

Tragico destino. La via ripetuta si chiama «Federico Giovanni Kurz», e fu tracciata da Severangelo Battaini e Beppe Chiaf. Sia la guida alpina «Seve» sia l’amico Beppe hanno incrociato lo stesso tragico destino in montagna: il primo sul Dosso Alto nel 1991, il secondo sul Cervino nel 2011. La loro cordata portò a termine sul Gemello Settentrionale all’inizio di ottobre 1989 un itinerario di 350 metri di sesto grado superiore, riconosciuto come uno dei più logici ed eleganti del gruppo. Un sorta di testamento verticale. Il nome della via nacque dalla fusione dei nomi di tre distinte persone. Si tratta di Federico secondogenito di Severangelo, nato all’epoca da poche settimane, poi di Giovanni papà di Severangelo, venuto a mancare quando il figlio era ancora adolescente, e ancora dell’alpinista bavarese Toni Kurz, morto per sfinimento nel 1936 nel corso di un tentativo di salita sulla parete nord dell’Eiger, una vicenda drammatica conosciuta sui libri da Severangelo che ne rimase profondamente colpito.

Trent’anni più tardi, nell’agosto 2019, quel superbo itinerario tracciato tra i graniti del Tredenus è stato rimesso al centro delle attenzioni di Federico Battaini, con l’intento di ripercorrerlo per omaggiare il ricordo del papà. Il primo tentativo è andato a vuoto per questioni di logistica, ma il nobile progetto è stato raccolto due settimane più tardi da altri tre scalatori: Alberto, Roberto e Angelo, che hanno affrontato la salita dopo una notte di pensieri trascorsa tra le pareti del piccolo bivacco Macherio.

Emozioni. Dei tre componenti della cordata a vivere l’emozione più forte è stato Angelo Ferraglio, più volte legato alla stessa corda di Severangelo. Il privilegio del ricordo di un amico, unito all’augurio per i trent’anni del figlio, è qualcosa che suggestiona e gratifica. È il filo riannodato di una storia che non ha fine, scorre come una corda nei moschettoni, riafferma quei valori che la montagna è capace di unificare ed esaltare: fatica, memoria, gioia, vita.

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