Tra test precoci e incertezze: perché scegliere l'università è quasi un'impresa

È proprio vero che non si finisce mai di studiare. Gli esami di Stato volgono al termine, ma tra i 9mila maturandi bresciani alcuni all’università pensano già da tempo.
È un filo sottile quello che collega la fine del ciclo delle scuole superiori con il mondo universitario, così sottile che per molti ragazzi la scelta del percorso al primo anno di università rischia di trasformarsi in un groviglio. La possibilità di sbagliare non è bassa, eppure il numero di matricole non accenna a diminuire. Anzi, aumenta. Secondo le statistiche del Ministero dell’Università e della Ricerca, il numero di nuovi iscritti all’anno accademico 2022-2023 è aumentato del +2,2% rispetto all’anno scorso.
«Molti test universitari vengono svolti addirittura durante il quarto anno di superiori. Quando vengono ammessi anticipatamente al corso di laurea desiderato, gli studenti tendono a dare meno importanza alla maturità» commenta Giuseppe Bonelli, dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale. Alcuni test universitari prevedono l’iscrizione già a febbraio dell’ultimo anno, una scadenza che potrebbe appesantire ancora di più il carico di studio previsto per la maturità. «Penso che dovrebbe essere ristabilita una maggiore correlazione tra Esame di Stato ed ingresso all’università – prosegue Bonelli –, in questo caso la votazione finale non deve essere preclusiva, ma migliorativa. Deve stimolare di più gli studenti e permettere loro di focalizzarsi anche sul futuro».
Oggi il voto dell’Esame di Stato viene in larga parte influenzato dal curriculum dello studente, «che fornisce informazioni sulle proprie capacità e attitudini. Quando ci si iscrive alle scuole superiori dunque, occorre pensare anche a quello che si farà dopo».
Capacità acquisite
Rispetto alle università ad accesso programmato, gli studenti sono diventati dei «piccoli esploratori: hanno dimestichezza con la rete, sono pronti anche a fare più prove, a darsi una preparazione approfondita con associazioni esterne». Studio richiesto a parte, quanto può effettivamente la scuola preparare all’università? A rispondere alla domanda è ancora Bonelli: «Lo stesso discorso può essere fatto con il distacco tra le scuole medie e il liceo». È chiaro che tra gli studenti, alcuni usciranno preparati ad affrontare l’università, altri meno, «ma non è detto che non possano diventarlo. In ogni caso, è infattibile pensare che le scuole secondarie possano preparare a qualsiasi tipo di facoltà». Detto questo, si può sicuramente ragionare sull’orientamento durante l'anno di scuola, ma in ottica «extrascolastica, per fornire la possibilità di prepararsi meglio al proprio futuro senza nulla togliere alla formazione standard» conclude Bonelli. Un’iniziativa che potrebbe trovare applicazione su un territorio come quello bresciano, caratterizzato da due grandi poli universitari, quello dell’Università degli Studi e dell’Università Cattolica, che contano rispettivamente 14.642 e 4.606 studenti iscritti.

Come funziona l'orientamento
Scegliendo il corso di studi, l’orientamento offerto prima e dopo la scuola può rappresentare un grande aiuto. A Brescia sia l’Università degli Studi che l’Università Cattolica offrono un orientamento strutturato, dalle iniziative collettive ai colloqui individuali. «In particolare, il progetto Prometheus è finanziato anche dai fondi del Pnrr: si compone di 15 ore offerte alle scuole, dove i docenti universitari sono disponibili a spiegare la proposta universitaria e a risolvere i dubbi principali degli studenti» spiega Daniela Bosisio, delegata del Rettore all'Orientamento dell’Università degli Studi di Brescia. Gli studenti rivolgono tante domande, a volte anche molto puntuali, perché hanno già le idee chiare. Tuttavia, «il numero di chi abbandona o di chi decide di cambiare corso di studi è costante - prosegue Bosisio -, diventa quindi importante far capire che ci sono opzioni, come quella di poter lavorare e studiare contemporaneamente».
Dello stesso parere è Davide Bordoli, responsabile dei colloqui di orientamento dell’Università Cattolica. «Quello che preoccupa di più è che tanti ragazzi non hanno chiaro un piano B. Attraverso i colloqui cerchiamo di fargli capire che è normale sbagliare, anche se non si sa bene cosa si vuole fare». Spesso si sceglie sulla base di stereotipi, messi sotto pressione dalle famiglie o ragionando sul mercato del lavoro. «Per questo durante l’orientamento tendiamo a proporre loro anche le soluzioni che mancano, quelle a cui non hanno ancora pensato». La maggioranza di studenti è composta da chi ha identificato la propria area di interesse, ma non sa ancora individuare il percorso che vorrebbe intraprendere. L’orientamento aiuta proprio in questo.

Angelo, 22 anni
«Studio Giurisprudenza in Università Statale al primo anno». Angelo ha 22 anni, ma sul suo futuro sembra avere già le idee chiare. Il suo accesso all’università non è stato particolarmente difficoltoso: «Non ho dovuto fare un test d’ingresso vero e proprio, ma il Tolc». In ogni caso c’era qualche difficoltà in più, perché gli studi precedenti di Angelo si discostano dalla legge. «Ho studiato all’istituto alberghiero, quindi appena ho appreso dell’esistenza del test, l’ho sostenuto alla prima data possibile. Questo per potermi concentrare nella fine dei miei studi e per conseguire la maturità».

Angelo passa il test del Tolc «senza problemi» ed entra nel corso di studi da lui scelto all’Università Statale di Brescia. A settembre di quest’anno, il nuovo inizio ha rappresentato un vero e proprio cambio di vita: «Mi sono quindi trasferito dal Trentino per venire a Brescia a studiare. Devo dire che sono soddisfatto della mia scelta, non voglio cambiare». Venendo da un istituto alberghiero non è semplice, «ma se le materie piacciono e appassionano, tutto risulta più semplice e meno noioso».
Alice, 21 anni
A 21 anni Alice (nome di fantasia) ha le idee molto chiare sul suo futuro, ma per averne conferma ha dovuto superare una delusione. «Dal quarto anno di superiori mi sono interessata a medicina - racconta-, devo dire che l’orientamento svolto a scuola non mi ha aiutato molto, ho scelto da sola». Purtroppo, al test il punteggio totalizzato è troppo basso, e il ricordo di quel giorno è amaro: «Provavo ansia, la sensazione era quella di sentirsi completamente soli con sé stessi». Alice però aveva pensato bene ad un piano B, anche ad un piano C. «Ho fatto il test per Professioni sanitarie e sono passata in Ostetricia».

Il corso non era quello desiderato, ma è stato un modo per riconfermare la propria passione. «Volevo provare a capire se la mia passione per medicina fosse vera, e così è stato». La decisione ora è semplice: dopo la prima sessione, Alice consegna la rinuncia agli studi e si concentra ancora una volta sul test di medicina, che nel frattempo è cambiato. «Ora si svolge come un Tolc». Il test si può provare due volte: la sessione di marzo per Alice è andata bene, «ma ora voglio provare anche quella di luglio, per riuscire a fare un punteggio più alto e avere più possibilità di entrare all’Università degli Studi di Brescia».
Silvia, 22 anni
Silvia è prossima alla laurea. Sta concludendo il ciclo di tre anni in Lingue e Comunicazione all’Università Cattolica. Dopo il quinto anno di liceo linguistico, aveva ben altri progetti in mente. «Ero particolarmente stanca di studiare le lingue. Guardandomi intorno, mi piaceva molto l’ambito sportivo e quello della nutrizione, così ho deciso di orientarmi su Dietistica a Brescia». Una facoltà che prevedeva l’accesso programmato. Un test con materie diverse da quelle studiate da Silvia. «Ho cominciato chimica e fisica, che non avevo mai fatto. In quel momento sono andata in crisi, perché ho capito che facevo troppa fatica e non era il mio ambito. Mi sono ritirata dal test».

Ecco che si riflette sul cosiddetto piano B, che per Silvia era un ritornare sui propri passi. «Il secondo ambito in cui avrei voluto lavorare era quello della comunicazione. Guardando ciò che mi offriva Brescia, mi sono orientata su Lingue e Comunicazione in Cattolica». Per entrare al corso in Cattolica non c’era un vero e proprio test d’ingresso, ma valutavano il livello delle lingue scelte - nel caso di Silvia inglese e spagnolo. «Nel mio caso ho cominciato spagnolo da zero, quindi l’avevo già un po’ studiato durante l’estate». Un percorso, quello di Silvia, che non era quello programmato in origine, ma che può comunque rivelarsi soddisfacente.
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