Istruzione e occupazione: nel Bresciano chi studia lavora di più

Anni fa una madre diceva che «un laureato conta più d’un cantante». Adesso potrebbe dire che un laureato conta più di un diplomato. Precisiamo: non è una valutazione sulle persone. È solo quello che emerge dagli studi che si occupano di istruzione e ritorno occupazionale. Nessun giudizio dunque. In ambito lavorativo chi studia di più, lavora di più.
I numeri
Secondo la fondazione Openpolis a livello nazionale lavora il 60,5% dei ragazzi diplomati compresi tra i 18 e i 24 anni e solo il 44,4% dei coetanei che non hanno terminato le scuole superiori. Se si prende in esame la fascia d’età che va dai 25 ai 34 anni, l’occupazione raggiunge il 57,3% tra chi ha massimo la licenza media: si arriva al 68,9% tra i diplomati e si tocca il 74% tra i laureati. Sono percentuali simili a quelle dell’Unione europea, dove però il tasso di occupazione risulta maggiore a prescindere dal titolo di studio.
Sono numeri che rispecchiano i dati Istat del 2023. Per quanto riguarda la fascia 30-34 anni, nel Nord Italia risulta occupato il 75,1% di chi ha finito le medie, quota che sale fino all’83% tra i diplomati e arriva al 90,6% tra i laureati. In cinque anni il tasso di occupazione è cresciuto (una lieve diminuzione si è registrata tra il 2020 e il 2021) indipendentemente dal titolo di studio. Sempre tra i 30-34enni lavora 92,6% dei maschi laureati, mentre tra le femmine laureate la quota è dell’89,4%.
Tra città e provincia
È più difficile avere un’indicazione precisa del rapporto tra il titolo di studio e gli occupati nel Bresciano. Il report Almalaura del 2024 riporta però dei dati occupazionali dell’Università degli Studi di Brescia (in cui la maggior parte degli iscritti è bresciana) superiori alla media regionale e nazionale. L’88,8% dei laureati triennali trova lavoro ad un anno dalla fine degli studi (79% la media regionale) e il tasso di occupazione dei laureati di secondo livello tocca l’88,1% (81,1% la media regionale, 75,7% quella nazionale).
Ma le percentuali salgono ancora di più se si prende in considerazione un lasso di tempo più ampio dopo la laurea. A cinque anni dalla discussione il tasso di occupazione arriva al 95,6%: un punto in più rispetto al 2023. Va precisato per la cronaca che il rapporto Almalaurea non include tra gli atenei l’Università Cattolica, ragione per la quale non è disponibile il dettaglio relativo agli studenti bresciani.
C’è poi il tema stipendi ma secondo l’indagine è in aumento anche la percentuale dei laureati che ritengono le retribuzioni medie – circa 2mila euro al mese per i magistrali a ciclo unico – soddisfacenti per il titolo di studio conseguito.
Nei Comuni
L’ultimo censimento permanente Istat (31/12/2021) ha preso in considerazione i laureati compresi nella fascia che va dai 25 ai 49 anni. Nel Bresciano il paese con la percentuale più alta è Collebeato: 37,3% con una popolazione residente di 1.187 persone.
A seguire c’è Brescia (34,7%), Padenghe (34,2%), Cellatica (34,1%), Salò (34,1%), Desenzano (32,25), Magasa (31,3%), San Felice del Benaco (30,9%), Valvestino (30,2%) e Gardone Riviera (29,5%). All’ultimo posto c’è Capovalle, con il 6,7% di laureati. Poche persone hanno proseguito gli studi anche a Paisco Loveno (9,8%) e Pezzaze (10,2%).
In Italia ci sono alcune città in cui la quota di laureati sfiora il 50%: Pavia (49,5%), Bologna (48,3%), Milano (48%) e Siena (47,9%). Padova e Pisa sono attorno al 45% e altre otto città (Trento, Bergamo, Monza, Cagliari, Firenze, Pescara, Campobasso e Lecco) superano il 40%. Le quote più basse sono a Prato (20,7%), Trapani (20,5%), Carbonia (20%) e Andria (16,6%).

Generazioni
Le condizioni lavorative dipendono dunque molto dall’istruzione. I dati elencati in precedenza dimostrano infatti che chi ha completato gli studi gode di maggiori opportunità. Le differenze percentuali potrebbero sembrare minime, ma non è solo questione di puro accesso al lavoro, bensì anche di qualità della mansione svolta e delle possibilità di crescita in un determinato settore o azienda.
Non per tutti però l’accesso alle università è cosa scontata. Generalmente sono i figli dei laureati quelli che riescono ad andare all’università. Il rischio (ma ormai pare già realtà) è che si inneschi un circolo da cui è difficile uscire. Le condizioni sociali ed economiche influiscono ancora moltissimo sull’accesso all’istruzione. I figli delle famiglie più agiate hanno adesso più opportunità e -secondo i dati - in futuro andrà allo stesso modo. Se i genitori non hanno il diploma, quasi un giovane su 4 abbandona gli studi e solo il 12% raggiunge la laurea.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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