Omar Pedrini elettrico: a Festa Radio un inno al cuore biancoblù
Uno Zio Rock elettrico ed elettrizzante, per un pubblico non troppo numeroso ma partecipe. Il ritorno di Omar Pedrini ai live sul palco della Festa di Radio Onda d'Urto - nella notte di San Lorenzo, dopo il nuovo intervento chirurgico - è a ogni modo una festa, con i presenti che rispondono con calore all’emozione dell’ex Timoria, la cui voce, gravata da mille battaglie, esita in principio ma si concede poi appassionata come sempre. Ci sono cori di incitamento che salgono a ondate dalla platea, e c’è pure uno striscione che inneggia al «vecchio cuore biancoblù», che ha ripreso a battere al ritmo giusto e pulsa nuovamente musica, respirando un’aria familiare dal profumo taumaturgico e balsamico.
Nella serata tutta bresciana di questo «Agosto con Radio Onda d’Urto», Omar Pedrini giunge dopo il rock battente - all’insegna della denuncia e della rivendicazione di diritti per tutti - proposto con voce salmodiante da Diego Piccinelli, protagonista dalle curve al palco, sempre con personalità. E pure dopo il blues arrembante dei Superdownhome, power-duo formato da Henry Sauda e Beppe Facchetti, ormai una certezza di livello internazionale. Per questione di tempi e spazi condivisi, l’artista non può apparecchiare uno di quei live torrenziali a cui ci ha abituato. Ma la struttura antologica del tour («Dai Timoria... a oggi») viene rispettata, assecondando al contempo la voglia di celebrare (sia pure con un anno di ritardo) un album di profetica lungimiranza come «2020 Speedball». Di cui sono apparsi, in momenti diversi dello show, la malinconia nevrotica di «Via Padana Superiore» (che ha aperto il live), l’epica vorticosa di «Boccadoro» e la dolceamara «Sudamerica». La dolcezza di «Nina», con la sua ambientazione gardesana, prelude alla rabbia incendiaria di «Fuoco a volontà». Poi Omar introduce «Hey Hey My My», personale rivisitazione di un manifesto della musica contemporanea, spiegando: «Ostinatamente, come Neil Young, mi ritrovo a gridare che il rock non è morto, e non morirà».
In scia, arriva la psichedelia british di «Che ci vado a fare a Londra?». La band (Simone Zoni, Carlo Poddighe, Stefano Malchiodi, Mirco Pantano) è affiatata, Davide Apollo dei Precious Time è la voce che supporta Omar quando comincia a sentire la fatica, il sound è coinvolgente. Anche di più, quando irrompe «Senza vento», tra le vette assolute del repertorio, come «Sangue impazzito», che segue. Pedrini non rinuncia a stare in piedi (a dispetto dei consigli medici sulla gradualità nel concedersi), tirando a lucido pagine recenti e antiche, da «Come se non ci fosse un domani» a «Freedom» a «Frankestein». Bis con i Superdownhome. Bis con la meravigliosa «Desperation Horse», insieme ai Superdownhome, per omaggiare il mito Lawrence Ferlinghetti, che ne firmò il testo su musica dello Zio Rock. Ma è «Sole spento», con Gilda Reghenzi, a scatenare gli applausi finali.
Bentornato, Omar!
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