Cultura

La recensione di «Cristian Bugatti», l'ultimo disco di Bugo

Scrittura ispirata per un disco elettropop (senza esagerare) con punte cantautorali: nonostante tutto, Bugo è tornato ed è in forma
La copertina dell'ultimo disco di Bugo
La copertina dell'ultimo disco di Bugo
AA

«Che ci vuole a tirarsela un po’
basta dire che Sanremo fa c..are
ci vuole poco a diventare famosi
basta un vaffa... in Tv»

Era già tutto scritto nel testo di «Che ci vuole», una canzone contenuta nell’ultimo album di Bugo, intitolato «Cristian Bugatti», uscito proprio ieri, venerdì 7 febbraio. Il giorno, o per meglio dire la serata, dell’abbandono del palco da parte dello stesso Bugo dopo una lite con Morgan. Di certo, lo scontro tra i due non era preparato, anzi. E se Bugo in qualche modo è diventato famoso, come dice nel pezzo, ha visto anche passare in secondo piano la sua musica, proprio nel momento in cui puntava al rilancio della carriera.

Un rilancio a cui deve appunto contribuire «Cristian Bugatti», dal nome originale del cantante che ha all’attivo dieci album in vent’anni di carriera in cui ha atraversato lo-fi, elettropop, cantautorato e rock. In questo ultimo lavoro, registrato al WhiteStudio 2.0 di Milano da Simone Bertolotti e uscito per l’etichetta Mescal, Bugo punta su un pop raffinato e scanzonato allo stesso tempo, con un uso sapiente dei sintetizzatori.

«Sincero», a proposito di Morgan e di synth anni Ottanta, cresce ad ogni ascolto, ma l’altro feat del disco, «Mi manca» con Ermal Meta, avrebbe potuto partecipare tranquillamente a Sanremo: testo intriso di nostalgia, melodia che cattura e due voci che si fondono in maniera millimetrica. Chissà come sarebbero andate le cose.

L’inizio del disco si poggia sul basso pulsante e sui ritmi sostenuti di «Quando impazzirò», dopo «Sincero» è la volta del funk sintetico di «Come mi pare», in cui Bugo torna sui temi a lui cari: una società in cui non si sente a posto, un’inadeguatezza a cui risponde facendo, per l’appunto, come gli pare. «Al paese» ha il sapore dei tempi perduti, facile immaginarla dal vivo col pubblico danzante, mentre «Che ci vuole» ha un andamento saltellante e un ritornello che si apre citando (anche) la Coca Cola di Vasco. Gli archi di «Fuori dal mondo» chiariscono fin dal principio che si viaggia in ambito classico: è il pezzo più pop e sentimentale, con frasi come «sciogliti i capelli/che ci passa il vento/e i pensieri pesanti/vanno al pavimento/come i piatti nuovi di Amazon/che mi hai lanciato tu». Bugo sa scrivere e lo sa fare bene, non dimentichiamocelo. In «Un alieno» torna il Bugo più danzereccio e ironico, mentre il finale è affidato alla chitarra sincopata che introduce «Stupido eh?» in cui torna a riecheggiare Vasco, assieme a un pizzico di Battisti: il brano è in crescendo, con un finale strumentale che accompagna i titoli di coda ideali sullo schermo, mentre le luci si accendono. Una conclusione perfetta per un disco che meriterebbe una valutazione tra il sette e mezzo e l'otto, anche se vale la pena rimandare il voto a più avanti, quando si sarà depositata un po’ della polvere sollevata nel gran caos di Sanremo. Spente le luci, resta la musica: quella di Bugo è di ottimo livello

 

 

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