Cultura

Brescia si mobilita per Butturini «Salviamo il libro dal rogo»

Dopo le polemiche inglesi per «London», incontro su «Nuovi oscurantismi e libertà d’espressione»
Le immagini del libro London di Gian Butturini contestate
Le immagini del libro London di Gian Butturini contestate
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Save the book: «London by Gian Butturini» rischia il rogo (ops, macero). Per i suoi sostenitori è tempo, dunque, di mobilitarsi per salvarlo. Dopo le recenti polemiche rivolte da una ragazza inglese ad una doppia immagine, da lei ritenuta razzista, contenuta nel reportage del 1969 del fotografo bresciano - quella in cui si accosta una signora dei biglietti della metro ad un gorilla in gabbia - Martin Parr, promotore della riedizione, pubblicata poi da Damiani, ha chiesto all’editore di distruggere le copie rimaste.

Mercoledì prossimo, 23 settembre, al Macof nell’ex Tribunale in via Moretto 78 a Brescia, quindi, Renato Corsini, Marta e Tiziano Butturini (i figli), il vicesindaco Laura Castelletti, Paolo Corsini, Uliano Lucas e Michele Smargiassi proporranno dalle 18.30 un incontro dal titolo «Nuovi oscurantismi e libertà di espressione». A seguire, alle 20.30, la proiezione del film di Butturini «Il mondo degli ultimi». L’evento, «Gian Butturini al rogo!», è aperto al pubblico (che per salvare una copia può prenotare il libro a archiviogianbutturini@gmail.com).

Ne abbiamo parlato in anteprima con Renato Corsini, fotografo e gallerista.

«London by Gian Butturini» è considerato un piccolo capolavoro. Dove sta la sua ricchezza?
È stato il primo tentativo, ben riuscito, di realizzare un libro fotografico dove alle foto si affiancava una ricerca di tipo grafico notevole. Non a caso Gian era titolare di un’agenzia pubblicitaria. Questo libro è il confine tra il raccontare con fotografie messe a caso e narrare con immagini e interventi che non prescindono dall’impaginazione.

Martin Parr si è addirittura dimesso dal suo ruolo di direttore del Festival della fotografia di Bristol: secondo lei ha esagerato?
Non solo: ha sbagliato. Questa serata non l’abbiamo organizzata per difendere Butturini. Non va difeso: difenderlo significa attribuirgli una colpa. Lui colpe non ne ha e a testimoniarlo ci pensano il suo percorso artistico e il suo impegno personale. Rifletteremo piuttosto su come si sviluppino certi processi di falsa interpretazione e di denigrazione. La cancel culture e il politically correct fanno sì che anche degli sciocchi diciottenni possano gettare fango su chiunque, come su Gian, che di razzista non ha assolutamente nulla. Nella prefazione Gian, peraltro, spiega l’accostamento; la ragazza che ha alzato il polverone probabilmente non l’ha nemmeno letta.

Si parla spesso di «contesto diverso», di Bristol che non è Brescia, dell’UK che non è l’Italia. Ma com’è l’Italia?
Oggettivamente la realtà italiana per quanto riguarda la libertà di espressione è più aperta, ma certi meccanismi e certe fake news circolano anche qui. E poi c’è il problema della lettura che si fa di una foto, a Bristol come a Milano: non può mai essere fatta senza contestualizzarla e senza conoscere il percorso dell’autore. La foto è per sua natura manipolabile: bastano la collocazione e la datazione sbagliata per perderne la lettura originale. Certo, la mentalità è diversa e Parr a Bristol, dove il politically correct è soggetto a regole ben più ferree, si è dovuto tutelare.

Durante la serata proietterete anche il film di Gian: è un passo per conoscere meglio la sua figura?
Sì, e sarà un’occasione per rivedere certi personaggi e attori bresciani. Oltre a Lino Capolicchio e Mietta Albertini ci sono Aldo Engheben, Oreste Alabiso... Il merito del film? Fu girato con gente del luogo, della Bassa: fu una «pasoliniata» che Gian volle tentare.

 

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