La distruzione di un libro: «London by Gian Butturini»

La famiglia e gli estimatori si mobilitano per tutelare l'opera del fotografo bresciano scomparso nel 2006 e accusato ora di razzismo
La copertina di London by Gian Butturini
La copertina di London by Gian Butturini
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A questo punto il rischio vero è che «London by Gian Butturini» finisca al macero, con le copie ancora in libreria ritirate e distrutte in una scena da Fahrenheit 451, che inizia proprio così: «Era una gioia appiccare il fuoco». Ora che Martin Parr l’ha chiesto espressamente per espiare la colpa dopo essere stato accusato di razzismo, la casa editrice bolognese Damiani ci sta seriamente pensando. D’altro canto, Parr è un fotografo molto famoso che continua a pubblicare nuove opere (in Italia proprio con Damiani) e, dovendo scegliere, in questa storia è Gian Butturini a essere sacrificabile in nome della cultura della cancellazione

E pensare che l’opera uscita nel 1969 in un migliaio di copie era introvabile, un oggetto di culto dal prezzo ormai da collezionisti. Anche per questo Parr, assieme ai figli di Butturini, aveva promosso la riedizione con una sua introduzione aggiuntiva, non immaginando che sarebbe finito in un simile guaio, tra mostre annullate e dimissioni dal ruolo di direttore artistico del Bristol Photo Festival. Ora, anche la nuova versione del 2017, identica all’originale, potrebbe sparire dalla circolazione. Domanda: in quali momenti storici i libri sono stati distrutti?

 

Le immagini del libro London di Gian Butturini contestate
Le immagini del libro London di Gian Butturini contestate

 

Tiziano e Marta Butturini, i figli di Gian, stanno cercando di capire come preservare i volumi, ad esempio acquistandoli in quantità in un’iniziativa che coinvolga amici ed estimatori di loro padre, una persona sempre attenta agli ultimi e alle fasce più deboli della società. Una persona che accusare di razzismo è completamente assurdo, a detta di chiunque l’abbia conosciuto, ma che per l’accostamento di una donna di colore a un gorilla subisce ora la dannazione postuma. Cosa voleva dire con quelle immagini? Il fotografo bresciano, nato nel 1935 e morto nel 2006, non può risponderci direttamente, ma per Ken Damy «Butturini ci parlava di una condizione di disumanità - commenta il fotografo -, il razzismo non c’entra e non lo dico certo perché sono un suo amico. Se decidono di mettere al macero il libro devono dirmi dove e quando perché ci facciamo trovare lì». Una bigliettaia chiusa in una gabbia di plexiglass, un animale dietro le sbarre di uno zoo. Puntare su questo aspetto nella lettura dell’accostamento sembra però inutile: l’accusa di razzismo lanciata dalla giovane studentessa inglese Mercedes Baptiste Halliday non ammette repliche in quanto proprio i razzisti hanno sfruttato nella loro retorica d’odio il paragone tra le persone di colore e le scimmie. «Mi piacerebbe parlarle in maniera tranquilla, spiegarle chi era mio padre, raccontarle le cose in cui credeva e per cui ha lottato. Mi piacerebbe farla ragionare su ciò che ha fatto e sulle conseguenze per Martin Parr, a cui va la nostra solidarietà, per mio padre», dice a questo proposito Marta Butturini. Chissà se ci riuscirà, ma una cosa è certa: con queste accuse, mosse con tale forza e condivise al punto da fare capitolare Parr, «London» è come se fosse già finito al macero

 

Una protesta organizzata da Mercedes Baptiste Halliday contro Martin Parr
Una protesta organizzata da Mercedes Baptiste Halliday contro Martin Parr

 

«Non si può estrapolare una frase da un libro per giudicarlo, quello è un racconto per immagini sulla società di quel periodo» dice Marta Butturini, una posizione sostenuta anche da Renato Corsini, direttore del centro per la fotografia Macof e curatore di un recente convegno su Butturini: «Siamo di fronte a un grande equivoco, è partita una caccia alle streghe in nome del politicamente corretto, il suo libro è un capolavoro di fotografia e grafica, è volutamente provocatorio con ironia e sarcasmo. Il suo impegno sociale e politico lo mettono al riparo dalle accuse di razzismo». Ora quell’impegno è cacciato in soffitta e l’accostamento fatto in «London» è letto alla stregua di quello fatto da Roberto Calderoli con Cécile Kyenge: un insulto discriminatorio. 

 

Gian Butturini in una foto del 2003 - Foto © www.giornaledibrescia.it
Gian Butturini in una foto del 2003 - Foto © www.giornaledibrescia.it

 

Il gallerista bresciano Massimo Minini ha scritto direttamente a Parr per contestare le sue scelte in questa vicenda. «Non posso credere che tu accetti questo punto di vista completamente sbagliato fino al punto da dare le tue dimissioni dal Bristol Photo Festival. Martin, un fotografo del tuo rango non può accettare un simile ricatto, il preteso dittico di Butturini è ironico non fascista. Avresti dovuto chiamare la ragazza e il giornalista del Guardian e dire: Io sono Martin Parr, voi sapete bene chi sono io ed il mio punto di vista è completamente opposto al vostro; per favore aprite i vostri occhi e la vostra mente e sorridete, la complessità del nostro mondo è così grande che a volte confonde chi guarda; io sono autorizzato dalla mia carriera a dire che queste due pagine sono un capolavoro di democrazia e non l’opposto». 

Parr gli ha risposto via mail, spiegando di non avere avuto «altra scelta che rassegnare le dimissioni dal Festival. Ho amato il libro di Butturini e ho fatto di tutto per sostenerlo. Ma comunque, se si prende il dittico "offensivo" e lo si isola, è indubbia la sua implicazione razzista», nonostante sia chiaro che Butturini avesse «un intento provocatorio». «Negli ultimi 4 mesi nel Regno Unito la pressione è stata crescente, anche alla luce delle proteste del Black Lives Matter, e io non ho avuto altra scelta che chiedere scusa. Anche a te e alla famiglia Butturini - aggiunge Parr -, ma la mia carriera veniva distrutta e io devo affrontare l’uscita da questa difficile e spiacevole situazione».

 

Gary Winogrand, Central Park Zoo, New York, 1967
Gary Winogrand, Central Park Zoo, New York, 1967

 

Il problema è in quella frase: se si prende il dittico e lo si isola, un modo di leggerlo contestato dai difensori di Butturini. E, soprattutto, se lo si legge solo nella sua dimensione identitaria, legata alle rivendicazioni delle persone di colore, senza allargare lo sguardo alla condizione di umanità e disumanità suggerita da Ken Damy. Quella donna è solo una donna di colore o è prima di tutto una persona in una moderna prigione sociale? Sono sofismi, lo sappiamo, in un periodo in cui non è permesso andare troppo per il sottile. Come ha detto il fotografo Damion Berger in un intervento sull’Art Newspaper, «secondo questo nuovo standard, The Americans di Robert Frank verrebbero gettati nello stesso falò. Come verrebbe percepita oggi la foto di Garry Winogrand del 1967 della coppia di mista a Central Park che tiene in braccio uno scimpanzé? Come il commento sul pregiudizio interrazziale che c’era all’epoca oppure il fotografo sarebbe percepito come razzista?». La risposta è ovvia, purtroppo.

 

 

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