Viaggio nella scuola ucraina di Brescia: «Negli occhi dei bimbi a lezione c’è ancora l’orrore»
La docente di «tecnologie della sicurezza» viene da Mariupol, dove suo marito è morto durante la guerra. Nel mese di marzo di due anni fa il mondo smise di girare per qualche secondo, davanti all’immagine di una donna incinta distesa su una barella dopo il bombardamento del reparto di maternità dell’ospedale. Ora Oksana da Brescia tiene lezioni a molti giovani che si collegano da remoto: Canada, Irlanda, Germania. Qualche ragazzo, anche se è pericoloso, si connette dalla stessa Mariupol occupata.
Nei suoi occhi mille sentimenti contrastanti, il dolore è un’ombra ineffabile, nel suo sorriso tutta la forza di un’insegnante che trova nelle nuove generazioni il senso della ricostruzione del presente. Ci troviamo sul ring, in via Fratelli Ugoni 10, dove da circa vent’anni al secondo piano del civico 10 esiste una scuola ucraina e dove poco dopo il 24 febbraio 2022 tutto è cambiato a ritmi vorticosi.
Con il cuore diviso a metà
Accerchiata da bambini, incontriamo Maria Nakonechna, operatrice per l’integrazione scolastica che il sabato offre tutta la sua abnegazione, come insegnante, ai ragazzi della scuola dell’associazione Nadija e ai genitori, catapultati in un contesto linguistico sconosciuto. Genitori con il cuore diviso a metà tra i figli più piccoli che oggi frequentano le scuole bresciane e il resto della famiglia che vive sotto le bombe, al fronte, o in zone più periferiche ma in una situazione geopolitica di grandissima fragilità.

In una delle classi, tra scrivanie e lavagne d’ardesia, conosciamo madri come Nelia, che ogni mattina videochiama i suoi familiari rimasti in Ucraina e controlla tramite Telegram se è stata bombardata la sua città. Molte di loro hanno tre o quattro figli. I più piccoli sono nelle altre stanze a leggere, scrivere o cantare ma tra una parentesi di serenità e l’altra si insinua sempre il senso del pericolo costante: «Perché chi ha un figlio di 19 anni teme che possa essere chiamato a combattere, chi ha figli grandi rimasti in Ucraina piange per la paura durante gli allarmi aerei e a ogni notizia negativa».
Vengono qui almeno 70 bambini e adolescenti: le bimbe con i capelli lunghi e sciolti o raccolti in magnifiche volute di trecce che non finiscono mai. «Sognano costantemente, a occhi chiusi o aperti, le loro case dove hanno lasciato tutto, anche cani e gatti. Parlano di quella stradina, di quel campo, o di un albero che ricordano con commozione» spiegano, oltre a Nelia, Natalia e Tania. «Mia figlia ha 16 anni ma dice che una volta maggiorenne tornerà dove è nata» racconta quest’ultima, in un misto di orgoglio per la determinazione della ragazza e angoscia per un futuro indistinto, tra scenari sempre più foschi.
Non c’è tempo per stare a lungo in silenzio: le voci sottili dei bambini rendono l’aria più calda. Bisogna provare una canzone: le testoline arruffate sotto la carta dell’Europa - e sopra sorrisi larghi come tutto l’arco alpino - si muovono a tempo con il brano, su poesia dello scrittore Taras Schevchenko.
Ricucire lo strappo
La scuola del sabato dell’associazione Nadija, che è nata nel 2003 e la cui presidente è Halyna Storozhynska, esiste dal 2005 ed è un presidio culturale che aiuta piccoli e grandi a ricucire lo strappo subito dopo l’invasione: qui si imparano letteratura, storia, poesia e musica ucraina.
A dicembre tutti gli sforzi, per rallegrare i più piccoli, erano indirizzati a preparare una grande festa, tra pacchetti, cioccolatini e uno spettacolo teatrale per San Nicola, che anticipa Santa Lucia. E pare che il «tandem» di letterine sotto il cuscino sia vissuto con gioia. Ma ora manca poco a Pasqua e la fantasia dei bambini, che hanno partecipato con entusiasmo a un laboratorio creativo con Unicef, si scatena per trasformare le uova («pysanka») in opere d’arte. Piccoli grandi lampi di gioia, in mezzo a tanta durezza.
All’arrivo in Italia molti piangevano, alcuni di loro «hanno negli occhi la distruzione di Bucha o sono passati in autostrada accanto a macchine distrutte da missili: le lacrime sono scese per mesi. Si mettevano un cappuccio sopra la testa per non vedere niente. In estate alcuni di noi sono andati in Ucraina per alcuni documenti: mia figlia ha voluto rimanere da sola nella sua camera – dice una mamma –. Molti ragazzi non volevano tornare in Italia, è molto più difficile per gli adolescenti».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.


















