Storie

Trent’anni dal trapianto di rene: «Una parte di Alessia è dentro di me»

Moira Tomasi ricevette l’organo di una 19enne che perse la vita nel 1994: «Ho incontrato il padre e la sorella, erano emozionati. Donare significa non morire»
L'operazione è avvenuta nel dicembre di 30 anni fa all'ospedale Civile - Foto Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
L'operazione è avvenuta nel dicembre di 30 anni fa all'ospedale Civile - Foto Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
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«Donare gli organi significa continuare a vivere in qualcun altro». Moira Tomasi l’ha sperimentato sulla propria pelle: «Alessia, la mia donatrice, è morta trent’anni fa, ma una parte di lei c’è ancora dentro di me. Io non l’ho conosciuta, ma la sento vicina, come se fosse una sorella». Per celebrare questo forte legame la 49enne originaria di Toscolano e ora di casa a Soncino si è fatta tatuare il nome Alessia in corrispondenza del rene che ha ricevuto in dono.

L’infanzia

Volentieri Moira racconta la sua storia con la speranza di sensibilizzare le persone circa l’importanza di rendersi disponibili alla donazione. «Alla nascita ho bevuto il liquido amniotico e a tre mesi sono stata operata d’urgenza a Vicenza – racconta –. L’infanzia è trascorsa bene, poi a 17 anni mi sono sentita male, ho avuto un blocco renale e il giorno in cui sono diventata maggiorenne ho fatto la mia prima dialisi».

Moira Tomasi, originaria del Garda - © www.giornaledibrescia.it
Moira Tomasi, originaria del Garda - © www.giornaledibrescia.it

Fuga da casa

Anche per «ragioni familiari» per Moira quello non fu un periodo facile, al punto che nell’agosto del ’94 fuggì di casa: «Erano le due del pomeriggio e anziché andare in ospedale a fare la dialisi sono scappata a Muslone da un’anziana amica di famiglia ignara di quanto stava accadendo. Col trascorrere delle ore, però, ho iniziato a sentirmi sempre più male. Mi sono quindi incamminata verso casa. Continuavo a cadere e rialzarmi. I carabinieri, 24 ore dopo la fuga, mi hanno trovata in un vicolo, debolissima». Pochi mesi dopo la svolta: a inizio dicembre venne individuato un rene compatibile con lei.

Attesa finita

«Avevamo cambiato casa da tre giorni senza comunicarlo – racconta Moira –. Così, di notte, i carabinieri di Salò sono venuti a cercarmi bussando di porta in porta. Alle 4 mi hanno trovata. La mia reazione è stata negativa. Ho detto: “No, non vengo”. Avevo 19 anni ed ero spaventata. Un carabiniere ha provato a convincermi dicendomi di andare comunque in ospedale, valutare e decidere. Ho seguito il suo consiglio. Ricordo che durante il tragitto in auto ero emozionata, felice per il dono che stavo per ricevere e allo stesso tempo triste per la giovane vita che se ne stava andando». La donatrice era, infatti, una 19enne deceduta in un’altra regione del Nord.

Al Civile

Quel giorno Moira si sottopose al trapianto di rene al Civile. «Nelle settimane successive sono stata malissimo, poi tutto si è risolto e ho vissuto trent’anni bellissimi – racconta –. Lavoro (come assistente a un anziano, ndr), faccio sport, mangio, mi diverto». E tutt’ora non trascorre giorno in cui Moira non pensi alla sua donatrice.

Riconoscenza

«Nei suoi confronti provo riconoscenza – spiega –. Grazie agli articoli e ai necrologi che in quei giorni sono apparsi su alcuni giornali sono riuscita a individuare il suo cognome. E, dopo cinque anni, ho bussato alla porta di suo padre e sua sorella: erano increduli, emozionati, contenti. Vederli mi ha fatto bene». Moira ha vissuto sulla propria pelle cosa significa essere in attesa di un trapianto. E, a sua volta, si è resa disponibile alla donazione degli organi: «Non c’è regalo più bello: salvare una vita e vivere in qualcun altro».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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