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Stadio Brescia, da quanto si parla del nuovo Rigamonti e gli altri casi in Italia

Il primo a immaginare un impianto moderno per le rondinelle fu Corioni, oggi ci prova Cellino (che parallelamente valuta l’offerta di un fondo americano). Dal Gewiss all’Allianz: ecco chi ha già costruito uno stadio di proprietà
Una veduta dello stadio Rigamonti - © www.giornaledibrescia.it
Una veduta dello stadio Rigamonti - © www.giornaledibrescia.it
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Colpi di scena, dietrofront e ripensamenti. Sembra la trama di un film, e invece è il racconto dell’ultimo ventennio che ha scandito la telenovela del nuovo stadio a Brescia. Forse non è un caso, dunque, che questa storia parta da Cannes, da quel Palais des Festivals et des Congrès che è ogni anno sede del prestigioso festival cinematografico internazionale.

Lì, nel 2005, Gino Corioni (affiancato da un testimonial d’eccezione come Roberto Baggio) presentò al mondo il progetto dello Stadium Global Center, un impianto avveniristico da realizzare a Castenedolo, e ideato con l’ambizione di proiettare nel futuro il Brescia.

Corioni e Baggio a Cannes per lo «Stadium Global Center» nel 2005 - © www.giornaledibrescia.it
Corioni e Baggio a Cannes per lo «Stadium Global Center» nel 2005 - © www.giornaledibrescia.it

O meglio, di farne un precursore. Tanto che a distanza di anni, quando nel frattempo quel disegno quasi visionario si era sbriciolato, Corioni commentò con amarezza l’inaugurazione del nuovo stadio della Juventus: «Avremmo potuto farlo noi, sono stato il primo in Italia a parlare concretamente di stadi di proprietà» rivendicò a denti stretti l’allora patron dei biancazzurri, confidando pure che Giraudo, all’epoca dirigente bianconero, aveva ammesso privatamente - e in tempi non sospetti - l’intenzione del suo club di costruire un impianto sul modello del progetto bresciano.

La parentesi australiana

E in effetti lo Stadium Global Center sul quale tanto scommise Corioni racchiudeva in sé una concezione assolutamente moderna della fruizione di uno stadio di calcio: non più una cattedrale da aprire ai fedeli solo nei giorni di messa, e dunque per le partite, ma una «cittadella» frequentata sette giorni su sette, a beneficio della passione dei tifosi, e pure delle casse societarie.

Un principio sul quale si fondano tutti gli stadi di nuova generazione, e che provò a replicare anche il team italo-australiano di Centrum Stadia, che nel maggio del 2019 offrì una nuova soluzione al Brescia: una struttura a quadrifoglio, con 25mila posti a sedere e un tetto retrattile, da costruire sulle ceneri del vecchio Rigamonti e circondata da attività commerciali di ogni tipo: un albergo da 250 stanze, un teatro da 550 posti, ristoranti, palestre e negozi.

Pure quel progetto cadde nel vuoto: il Brescia, neopromosso in serie A, si «accontentò» di qualche lavoro di restyling per adeguare l’impianto al salto di categoria. Migliorie che peraltro rappresentano uno dei pomi della discordia tra società e Comune in merito ai criteri utilizzati dalla società Praxi nella recente perizia del Rigamonti, dei quali torneremo a occuparci più in là.

Il nuovo tentativo

E così arriviamo ai giorni nostri, alla valutazione da 16,8 milioni di euro (con delta del 10%) di Praxi ufficialmente contestata da Massimo Cellino. Che valuta un’offerta da circa 20 milioni per rilevare il Brescia recapitatagli da un fondo americano. Ma nel frattempo porta avanti il dossier. Davanti a sé il sardo ha diverse strade, di cui una apparentemente meno ripida: quella da percorrere con l’ausilio della legge stadi, che consentirebbe al club di via Ferramola di presentare un progetto da mettere a gara - una volta accertatone il pubblico interesse, sia sportivo che urbanistico - e assicurarsi un diritto di prelazione.

Un progetto che Cellino avrebbe peraltro già in cantiere, e che prevederebbe la costruzione di una maxi-palestra di lusso e di un centro spa, oltre a un ristorante, un bar e uno spazio dedicato al merchandising. Insomma, la macchina si è già messa in moto. Sarà questa la volta buona?

Chi l’ha già fatto in Italia?

Il caso più recente è quello dell’Atalanta. I lavori di riqualificazione del Gewiss Stadium verranno ultimati verso la fine di quest’estate. L’impianto è di proprietà della società dei Percassi, che lo ha rilevato nel maggio del 2017.

L’acquisizione avvenne tramite un bando di alienazione indetto dal Comune di Bergamo, con base d’asta fissata a 7 milioni e 826mila euro. Particolare importante: si tratta del valore complessivo della perizia sullo stadio - allora denominato «Atleti Azzurri d’Italia» - che venne affidata alla società specializzata Avalon Consulting di Milano. L’Atalanta si aggiudicò l’area con un’offerta superiore del 10%, pari a 8 milioni e 608mila euro, battendo la concorrenza dell’AlbinoLeffe, la cui proposta fu giudicata inammissibile.

Da quella somma vennero poi scorporati 2 milioni e 260mila euro, l’equivalente delle spese sostenute dal club per effettuare alcuni interventi di restyling nel 2015, quando ancora non era proprietario dell’impianto.

È questo uno dei punti sui quali il Brescia contesta la perizia della società Praxi, che nella sua valutazione complessiva ha incluso tutte le opere di miglioria (pitch box, strutture metalliche, fari) di cui s’è fatto carico il club di Massimo Cellino negli anni scorsi.

Oltre ai quasi 9 milioni versati per aggiudicarsi il bando, i lavori per conferire un volto più moderno al Gewiss sono costati all’Atalanta una quarantina di milioni.

Il caso Mapei

Anche il Sassuolo, alcuni anni prima (nel 2013), acquistò il suo impianto dal Comune. Con modalità leggermente diverse: Squinzi approfittò del fallimento della Reggiana per aggiudicarsi all’asta il «Città del Tricolore» (poi denominato Mapei Stadium) a fronte di un esborso di 3 milioni e 750mila euro, una manciata in più della cifra che la Football Properties - società costituita dalla stessa Reggiana e dal Comune esclusivamente per rilevare lo stadio - era pronta a mettere sul tavolo.

Gli altri stadi di proprietà

Altri club hanno optato per la formula della concessione. Tra questi c’è la Juventus, che nel 2002 si garantì il diritto di superficie sull’area dell’ex Delle Alpi per 99 anni a fronte di un esborso di 25 milioni di euro, edificandovi quasi dieci anni più tardi l’attuale Allianz Stadium.

E così fece l’Udinese, cui venne concesso il diritto di superficie per l’ex Friuli a 4,55 milioni di euro, anche in questo caso per 99 anni. O ancora il Frosinone, in questo caso per 45 anni, passaggio fondamentale per dare il via all’ultima fase dei lavori sullo Stirpe, avviati dal Comune e ultimati dal club ciociaro.

Il «San Siro gate»

A Milano si sta giocando un’altra partita, ancora più intricata di quella bresciana. Inter e Milan vogliono uno stadio di proprietà: storia vecchia, che come per il Brescia si trascina da decenni. Dal 2019, però, i due club hanno unito le forze per provare a rendere concreta un’intenzione non più derogabile per tenere il passo dell’élite europea.

Pure in questo caso c’è più di un’opzione sul tavolo. Quella emersa più di recente riguarda la ristrutturazione dell’attuale San Siro: lo scorso otto marzo, a Palazzo Marino, è andato in scena un vertice tra i rappresentanti delle due società, il sindaco Sala e WeBuild, la società incaricata dal Comune di realizzare uno studio di fattibilità della ristrutturazione dell’impianto.

Qualora si trovasse la quadra su questo punto, Inter e Milan potrebbero acquistare il terreno sul modello Atalanta (è già circolata, stando a quanto riporta anche L’Espresso, una cifra nell’ordine dei 100 milioni pagabili in 99 rate), oppure ottenere dal Comune il diritto di superficie, come hanno fatto Juventus e Udinese.

I due club guardano però anche altrove. Fuori dai confini milanesi. Il piano alternativo del Milan conduce a San Donato, dove la società di proprietà di Gerry Cardinale ha già acquistato l’area «San Francesco», nella quale andrebbe eventualmente a edificare il nuovo stadio. Dal canto suo l’Inter si è assicurata un’opzione (in scadenza proprio questo mese) su un terreno del gruppo Cabassi a Rozzano. Anche qui, dunque, non siamo vicini a una soluzione definitiva.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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