Dopo 120 anni chiude Cominelli, storico negozio di fotografia

Dalla porta continuano a entrare ragazzi e ragazze. Trentenni, ventenni, ma anche diciottenni o meno, tutti con macchine usa e getta tra le mani: «Posso stampare?», chiedono. «Vengono per i negativi, poi salvano tutto in digitale. L’effetto vintage è tornato molto di moda da qualche anno, è una cosa piuttosto curiosa», dice sorridendo Arnaldo Cominelli.
Di mode, pratiche e materiali Cominelli ne ha visti parecchi nei lunghi decenni di vita dell’emporio di famiglia in via Gramsci. «Ma è un lavoro che sta scomparendo, il mondo è cambiato – constata –. E non c’è più molto spazio per un’attività come questa». Ecco perché lo storico negozio di fotografia, il primo insieme a Vigasio e il più longevo, ha deciso di chiudere: la saracinesca sarà definitivamente abbassata dal primo maggio 2025, a 120 anni dall’apertura del negozio. Un punto di riferimento del centro, testimone dello sviluppo e delle trasformazioni di Brescia, si prepara così a salutare la città dopo una storia lunga tre generazioni.

Gli esordi
Era il 1905 quando Arnaldo Cominelli, classe 1873 e dipendente dell’antica cartoleria Zinelli in via X Giornate, decise di mettersi in proprio. Il primo emporio di fotografia e pittura aprì in via Trieste, all’angolo con piazza Duomo. Due anni dopo traslocò in via Umberto I, al numero 5, per poi spostarsi nel 1927 al civico 7. È qui che, nell’attuale via Gramsci, lavorano ancora Arnaldo Cominelli, omonimo nipote del fondatore, e il cugino Alfredo Marchesi, ultimi due gestori dell’attività portata avanti fino a pochi anni fa insieme a Clara Cominelli, sorella di Arnaldo. «Non saprei neanche se definirla un’attività, nel 2025 saranno 60 anni che lavoro qui: è casa mia», dice Marchesi, 79 anni. «In effetti, ho perso il conto anche io, se consideriamo che bazzico per il negozio fin da quando ero bambino. Ma a differenza di Alfredo sono curioso di scoprire come sarà stare a casa, non l’ho mai fatto», sdrammatizza Arnaldo, 71 anni.
In centoventi anni il lavoro in via Gramsci è cambiato moltissimo. A inizio Novecento nonno Arnaldo immortalava la vita lungo la via dalla finestra di casa, sopra l’emporio: le sue lastre che ritraggono i curiosi assiepati attorno alle auto della Mille Miglia originaria e la costruzione di piazza Vittoria nei primi anni Trenta sono esposte ancora in vetrina.
All’epoca insieme a lui in negozio c’era la moglie Caterina Tomaselli, madre di Guido, Lucio e Bruna. Tra i vari aneddoti, Arnaldo e Alfredo ricordano che durante la guerra Guido andava e tornava da Milano in bicicletta per rifornirsi di materiale fotografico dalla Kodak. Lucio, invece, fu mandato in guerra, venne catturato ad El Alamein dagli inglesi e finì prigioniero in India. «Quando tornò a Brescia mio nonno era già morto e noi vivevamo tutti nell’appartamento sopra al negozio, come una grande famiglia», racconta Arnaldo.
Il secondo dopoguerra
Dopo la guerra cambiò tutto, di nuovo. Fu aperto l’ingrosso e Cominelli avviò una lunga e proficua attività come fornitore di stampa di lastre radiografiche per tutti gli ospedali e le cliniche della provincia. Questo filone durò una ventina d’anni, finché divenne troppo oneroso, ma negli anni Sessanta la fotografia era comunque in espansione e nel negozio di via Gramsci lavoravano 13 persone, tra parenti e commessi, garzoni per le consegne («giravano tutto il giorno con un motorino Gerosa per la città»), addetti alla miscela dei sali per il trattamento e lo sviluppo.

Era un quartiere, ma anche una città, differente: «I fotografi erano molto più numerosi e poi eravamo circondati da negozi storici della zona che oggi non ci sono più – ricordano i due cugini –: Zilioli, con l’immancabile e costosissimo maritozzo, Ceppo il salumiere, l’Albergo Brescia qui di fronte. Ma anche la stessa piazza Vittoria, dove arrivavano ancora i pullman di tutta la provincia e nostra nonna doveva pulire i davanzali dal nero del gasolio». Scenari scomparsi, con grande dispiacere dei due negozianti, che si dicono appartenenti a un’altra epoca: «D’altronde la nostra è una delle ultime attività storiche del centro sopravvissute fino a oggi e noi siamo due pensionati che lavorano ancora se non proprio per divertimento, ma quasi».
Dal Duemila
Una longevità frutto anche della capacità di adattarsi ai tempi, per esempio introducendo circa 25 anni fa la stampa diretta delle fotografie di cui Cominelli non si era mai occupato prima (si affidava a un laboratorio esterno). «Le prime macchine digitali erano orrende, potevi contare i pixel. Poi sono migliorate, ma in generale la qualità è molto diminuita», dice Arnaldo.

Tutto, dentro al negozio di via Gramsci, racconta la commistione di un passato che non c’è più e un presente che riscopre i vecchi attrezzi del mestiere, facendoli propri. Sulle mensole delle teche all’ingresso le cineprese Bolex e RolleiFlex con cui un Alfredo Marchesi ventenne negli anni Settanta girava i primissimi documentari subacquei alle Maldive e nelle Filippine si affiancano alle Polaroid Instax Mini color pastello che tanto piacciono alla Gen Z.

Dentro i mobili in legno costruiti da Alfredo sorreggono computer, macchine per stampare fototessere e i rullini Kodak che vanno ancora a ruba. «È tutto obsoleto ormai, servirebbero più di 200mila euro per cambiare stampanti e materiali, e altrettanti soldi per ristrutturare l’immobile», dice Marchesi. Cifre astronomiche per portare avanti un’attività che, dicono loro, oggi non rende più: «Abbiamo provato a proporla ad alcuni colleghi, ma comprensibilmente nessuno si è poi fatto avanti». E i figli degli eredi hanno optato per altre strade.
Nessuno in negozio si sente di pronunciare qualche altisonante lascito per la città, anzi: «Siamo semplicemente sempre andati avanti con il nostro tran tran piuttosto lineare, senza impennate o frenate, forse un po’ troppo metodici in effetti», dice Arnaldo. Ma con la sua tranquilla routine il vecchio emporio ha saputo dare carattere e stile a via Gramsci per 120 anni. Mancherà.
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