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Palumbo, l’uomo «dell’ultimo canestro» ora entra nella testa dei campioni

Vincenzo Cito
Tra gli anni Settanta e gli Ottanta le imprese bresciane, ora il figlio è una baby star in Germania
Marco Palumbo in maglia Silverstone -
Marco Palumbo in maglia Silverstone -
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Quando, a metà degli anni Settanta, Riccardo Sales gli telefonò per portarlo a Brescia, gli disse scherzosamente di essere ancora arrabbiato con lui. Era successo che, alla guida della Goriziana, tempo prima, il tecnico aveva perso all’ultimo secondo contro Mestre per un tiro proprio di Marco Palumbo.

«Era stata una cosa del tutto casuale – ricorda oggi l’ex giocatore –, perché fui buttato nella mischia solo perché la squadra era falcidiata di falli e rischiava di chiudere la partita in quattro. Come tutti i giovani, quando mi trovai la palla tra le mani non seppi che farmene e così scelsi la situazione più sbrigativa. Cercai il canestro e lo trovai».

Marco Palumbo con il figlio Noah
Marco Palumbo con il figlio Noah

Nessuno poteva immaginare che la cosa si sarebbe ripetuta anni dopo quando Sales – ormai esaurita la sua esperienza da noi – nel 1986 allenava Varese e, all’ultima giornata, affrontò proprio la sua vecchia squadra. «La situazione era molto più drammatica perché, a pochi secondi dalla fine, Brescia era sotto e con quella sconfitta sarebbe scesa in A2. Col mio tiro in extremis vincemmo la partita e conquistammo la salvezza. Da allora in poi, e sono passati ormai 40 anni, quando incontro i tifosi del tempo ancora mi ringraziano. Peccato che l’unica testimonianza televisiva del fatto abbia preso fuoco con l’archivio dell’emittente che ancora ne possedeva una copia».

Definire però Marco Palumbo come l’uomo dell’ultimo tiro è riduttivo, come è successo nel calcio a Marco Tardelli, ancora e sempre ricordato per quell’urlo di gioia che accompagnò il suo gol alla Germania nella finale mondiale 1982. Palumbo è stato molto altro, perché oltre che tra i protagonisti della storica promozione in A1 del 1979 – quando tra i suoi compagni c’era anche il compianto Solfrini – lo fu anche a metà degli anni Ottanta con un altro ciclo di successi. E pur avendo poi brillato anche altrove, Marco non ha mai spezzato il legame con la nostra città, dove ha anche preso casa.

Qui è nato il figlio Noah, che spera di ripercorrerne le orme. Estroso e originale sul parquet e fuori Palumbo, a fine carriera, ha battuto altre strade. È stato fotografo di successo nel campo della moda e da qualche anno è tornato al vecchio amore, quello della pallacanestro, prima come istruttore e ora come mental coach. «L’anno scorso ero a Venezia, ora sono libero professionista e tra i miei assistiti ci sono anche cestisti dell’Eurolega. Le testa nello sport ad alto livello è tutto e può dare una svolta o stroncare una carriera». Oggi, più che mai, gli torna utile l’esempio dei vecchi maestri, su tutti Sales.

«A parte il carisma, lo caratterizzavano la professionalità e la capacità di formare un gruppo. È del tutto irrilevante essere uniti anche fuori dal campo, come spesso si dice, magari andando a mangiare una pizza assieme dopo l’allenamento. La vera coesione si crea in partita, assistendosi l’uno con l’altro. Sales non ci chiedeva di essere squadra, ci faceva giocare da squadra. La differenza è tutta qui. Noi nemmeno sapevamo dove abitasse Laimbeer, però in campo si sacrificava più di ogni altro».

Promessa

I consigli più preziosi Marco li riserva al figlio Noah, play di 1.88, che a 19 anni ha già partecipato a due raduni della nostra Nazionale giovanile anche se la sua carriera, per ora, si è svolta soprattutto in Germania, Paese di origine della mamma. Con la maglia del Bayer Leverkusen – dove tuttora gioca – ha vinto l’anno scorso il premio di miglior giovane della serie A2, campionato in cui, più volte, è andato in doppia cifra raggiungendo il top contro Alba Berlino (27 punti) e Oldenburg (25 punti).

Noah Palumbo gioca in serie A2 in Germania
Noah Palumbo gioca in serie A2 in Germania

«Il suo cuore batte per l’Italia e in particolare per Brescia, il suo sogno è quello, un giorno, di indossare la maglia della Germani. Essere figli d’arte non aiuta, inevitabili i confronti col genitore. Lo alleno mentalmente a non cadere nel panico, situazione ricorrente durante una partita di basket in cui la tensione è altissima. Ha una grande passione, ogni mattina prima di andare a scuola si allena con i pesi. A volte fa l’errore di non ascoltare i segnali del corpo rischiando di farsi male, ma sono percorsi di crescita che ogni giovane deve imboccare. Per essere vincenti prima di ogni cosa bisogna superare i propri limiti».

Alle soglie dei 70 anni, Palumbo guarda al futuro, come ha fatto tutta la vita. E osserva con fiducia anche il cammino della Germani. «La società oggi è tra le più belle realtà d’Italia e per noi pionieri è un onore avere scritto la prima lontana pagina di questa storia».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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