Lettere dalla strage, le emozioni e i ricordi dei lettori

La Redazione Web
Qui sono pubblicate le prime email inviate in redazione per «Piazza Loggia 50», un’iniziativa di Giornale di Brescia e Casa della Memoria che raccoglie i racconti personali sulla strage di bresciani e bresciane
Le bare delle vittime della strage di piazza Loggia - © www.giornaledibrescia.it
Le bare delle vittime della strage di piazza Loggia - © www.giornaledibrescia.it
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Un come eravamo che è anche (e soprattutto) un «dove eravamo». Il riferimento è a quel 28 maggio 1974, al giorno che ha segnato uno spartiacque ineluttabile tra il prima e il dopo della Brescia democratica.

Cinquant’anni dopo il Giornale di Brescia, insieme a Casa della Memoria, ha deciso di ideare «Piazza Loggia 50», un «collection day» che è un appello ad aprire cassetti, bauli e cantine per condividere ricordi, i propri documenti, il materiale d’epoca. Il tutto per dare vita ad una grande esposizione collettiva sulla strage di piazza della Loggia e sul valore della memoria.

Ma molti nostri lettori e nostre lettrici hanno affidato a delle mail i loro ricordi relativi a un giorno che non si può dimenticare. Nemmeno dopo cinquant’anni. Pubblichiamo quindi integralmente le lettere che ci permettono (e ci permetteranno) di condividere un momento drammatico della storia di Brescia, ma anche della nostra storia personale. Troverà quindi spazio nelle pagine del nostro quotidiano e onlin una lunga serie di istantanee che fissano su carta una sensazione che è un misto di dramma e dolore, una fotografia perfettamente a fuoco di come la strage ha sfiorato, impressionato o colpito decine e decine di nostri lettori. Che oggi, cinquant’anni dopo la bomba di piazza della Loggia, hanno deciso di tornare con la mente a quel giorno. E, generosamente, di condividerlo con noi e con tutti i nostri lettori.

Lettere pubblicate il 26 maggio 2024

Non sono riuscito a dormire per diversi giorni

Il 28 Maggio 1974 è per me indimenticabile: gli anni passano ma, se chiudo gli occhi e ripenso a quel giorno anche ora che ho quasi 68 anni, un brivido mi percorre la schiena. Da rappresentante di classe e di istituto avevo organizzato da Palazzolo la nostra partecipazione alla manifestazione antifascista di Piazza Loggia e all’arrivo, visto il giorno molto piovigginoso, avevamo trovato un posto sotto i portici, alcuni appoggiati allo stipite di un negozio (mi pare fosse un fiorista), a pochi metri dall’ordigno. Dal palco posizionato sul lato opposto della Piazza stavano parlando ed era da poco passata una scolaresca di bambini con le insegnanti quando un botto fortissimo ha coperto tutto: mi volto verso il rumore e vedo una fiammata luminosissima che sale verso il soffitto e, subito dopo, iniziano a cadere frammenti di vetro che ci investono.

La rientranza ci ha parzialmente protetti (amici dell’Itis avevano invece riportato ferite in varie parti del corpo) ma subito ci gettiamo a terra e, appena è stato possibile, ho aiutato un amico disabile a scappare verso il fondo della galleria per poi tornare a prendere i nostri libri appoggiati in terra: è stato allora che ho visto i corpi, ed il dramma non mi ha fatto dormire per giorni.

Dal palco continuano a gridare “state calmi, state calmi” ma ovviamente il panico aumentava, alimentato anche dal fatto che nessuno sapeva dove correre. Ritorno dall’amico lasciato all’angolo e, non vedendolo e non avendo cellulari come oggi, mi incammino nel vicolo alle spalle dell’edicola: mentre il caos dilaga, mi sento prendere bruscamente per la giacca e tirare all’interno di una latteria la cui proprietaria, con il mio amico che mi aveva avvistato, dopo aver abbassato velocemente la saracinesca ed aver visto il mio pallore, mi diede un robusto goccio di brandy.

Ovunque essa sia, ogni volta mi sorge dal cuore un ringraziamento per quel bellissimo gesto, unito al ricordo e alla preghiera per le vittime.

Claudio Leni

Mio papà venne a scuola, voleva dirmelo di persona

Erano gli ultimi giorni di scuola, all’epoca frequentavo la seconda media alla scuola «Romanino» di Fiumicello. All’uscita trovo, inaspettato, mio papà e ci incamminiamo insieme verso casa (100 metri in linea d’aria…). Mi racconta della bomba, dei morti e feriti e mi rassicura sul fatto che lo “zio” Ermanno Ricci (dipendente delle Poste e sindacalista CGIL), pur presente in piazza, si è salvato perché all’ultimo momento, insieme ad altri colleghi, si è spostato sul lato opposto.

Nei giorni successivi di «lutto cittadino» ricordo la visita con la mamma al Vanvitelliano per rendere omaggio ai feretri dei caduti e il giorno dei funerali, con papà, in via Verdi a fare il «servizio d’ordine volontario» per contenere la folla presente a bordo strada. Qui ho scambiato due parole con marito e moglie che venivano dalla Toscana per la cerimonia: erano antifascisti e volevano essere presenti per stringersi nel dolore al popolo bresciano. Successivamente ho saputo che uno dei caduti nella strage, Bartolomeo Talenti, ero lo zio di Diletta, la mia compagna di banco alle elementari “A. Volta”. I miei genitori sono mancati entrambi nel 2020, a pochi mesi di distanza, per le conseguenze del COVID, ma in diverse occasioni negli anni precedenti ho domandato loro perché papà quel giorno era venuto a prendermi a scuola, non poteva essere solo la pioggia, ci doveva essere un motivo diverso, più «profondo»: voleva essere lui a raccontarmi i fatti prima che qualcun altro lo facesse, magari dando la colpa ai soliti «rossi».

Con questo ricordo offro la mia testimonianza per Piazzaloggia50, perché le nuove generazioni conoscano la verità dei fatti e ricordino sempre il sacrificio dei Caduti e il dolore di una città ferita, ma che, orgogliosa, ha rialzato la testa.

Lorella Zucchetti

Il clima pesante e le continue provocazioni

Il 28 maggio del ’74 avevo 17 anni compiuti da pochi giorni. Frequentavo l’Itis Castelli ma qual giorno c’era lo sciopero antifascista. L’atmosfera di quei giorni è stata raccontata già da tanti e non ho molto da aggiungere: le provocazioni erano continue, la tensione alta percepibile anche da un giovane come me.

Come tanti anche io facevo politica e avevo il mio gruppo di riferimento con il quale ci trovammo in piazzale Battisti per seguire il corteo.

Pioveva, pioveva tanto. Però c’era la gioia ed il piacere di trovarsi, di stare assieme per riproporre ancora una volta i nostri ideali di libertà e antifascismo. I nostri poveri striscioni in breve divennero un telo per ripararsi, ma quando si raggiunse la piazza si doveva esporli, farli vedere per gridare la nostra presenza. Così vennero stesi vicino al monumento della «Bella Italia».

Chi aveva un ombrello rimase li, altri si dispersero.

Io raggiunsi il porticato e mi appoggiai alla colonna dopo la seconda fontana, non quella vicina allo scoppio ma la seconda più in direzione del monumento.

Ero lì appoggiato e riparato quando ad un tratto….

Ricordo l’esplosione, un forte spostamento d’aria, un’ombra passare velocissima davanti a me verso la piazza, poi il fumo e dei secondi di un silenzio assurdo irreale. Ma durò poco. Subito dopo, urla, lamenti, richiami. E intravidi pochi metri da me verso la piazza un corpo straziato. Era stato il mio professore di fisica, Alberto Trebeschi.

Dopo mi confusi, non guardai più nulla, non vidi più nulla. Cercai i miei compagni ma non li vidi e corsi sotto la pioggia verso via Musei. Corsi via con il cuore in gola, con il terrore addosso, con una angoscia mai vissuta prima.

Vagai per diverse ore sotto la pioggia, sentivo in lontananza sirene.

Giunsi a casa fradicio e scioccato, non riuscii a dire nulla a mia madre che mi chiedeva cosa fosse successo. Mi chiusi in camera, ma non ricordo più cosa accadde dopo.

Leonardo Leo

Sbalzato dall’onda d’urto, sono finito in una vetrina

Avevo ancora la schiena a pezzi quel 28 maggio, dopo una notte con le ginocchia della mia bambina, nel letto tra mamma e papà, puntate contro la mia schiena. Come sempre ho salutato Miki con dei bacioni e Naide come fosse una giornata come le altre. Da giorni in fabbrica non si parlava d’altro che delle provocazioni fasciste e del mancato attentato della settimana prima in piazza della Vittoria e della risposta popolare che i partiti e il sindacato erano intenzionati a dare a quelle minacce. Alle 8,30 ero già con i miei compagni di lavoro della Idra Presse a borgo Trento in attesa che il corteo partisse e da via S.Faustino si unisse agli altri in Piazza Loggia Ero stato assunto, solo qualche mese prima, direttamente dal signor Pasotti per una strana coincidenza e mi era stato promesso che dopo una adeguata preparazione il mio ruolo sarebbe stato quello di rappresentante prima in Italia poi all’estero. Un sogno, condiviso anche da Naide, nel quale vedevamo un futuro roseo dopo i primi anni duri del nostro. matrimonio.

Partecipai convinto a quella manifestazione e condividevo appieno gli slogan più gettonati di quella giornata, alcuni sindacalisti muniti di megafono li lanciavano e noi proseguivamo «Il fascismo non passerà» «Le ura, potere a chi laura».

Il corteo era partito verso le 9,30 da Borgo Trento, era enorme, non si erano mai visti tanti partecipanti e molta gente si accalcava al passaggio. La giornata era uggiosa e strada facendo diventò anche piovosa. Arrivato in piazza mi fermo un po’ a parlare con i miei compagni di lavoro che dopo poco saluto per recarmi sotto i portici dove avevo appuntamento con vecchi compagni di scuola convocati per una partita a biliardo al bar di piazzetta Vescovado, dopo la manifestazione. Appena arrivato mi intrufolai nel mezzo della calca per poter guardare e sentire il discorso dei politici e sindacalisti. Ero riuscito a trovare un posto appena a fianco della colonna dove era collocato l’ordigno. Quante volte ho rivisto questa scena nella mia mente, non credevo di essere così vicino. Mi ero appoggiato con un braccio proprio sullo spigolo interno della colonna dalla parte del cesto di metallo. Ricordo che una ragazza bionda e piccoletta aveva infilato la testa sotto un mio braccio, per vedere cosa stava accadendo in piazza.

Dopo lo scoppio, mi era mancato il respiro per alcuni lunghi secondi e mi ero trovato nel mezzo del negozio di Taddini&Verza con la vetrata in frantumi, sarà stato un volo di almeno una decina di metri. Mi ero rialzato nella totale confusione, non so quante persone erano finite lì. Ricordo che mi aveva assalita la paura di altri scoppi, così ero scappato nel vicolo accanto e avevo trovato la forza di volontà per arrivare in fondo dove c’è una farmacia appena dopo l’edicola. A metà del vicolo incontrai un carabiniere, si vedeva che era un ragazzino. Gli avevo chiesto di darmi una mano per arrivare alla farmacia perché la caviglia mi faceva un male boia ma lui era più spaventato di me e non riusciva a muoversi dal muro cui era appoggiato. Così alla farmacia ci arrivai da solo, appena dentro mi diedero i primi soccorsi e solo allora mi resi conto di non avere più le scarpe. I jeans, come tagliati con le forbici, erano spariti. Sentivo odore di bruciato e mi accorsi che arrivava da baffi e una parte di capelli sono bruciati, mi tocco la testa e oltre a pezzetti di vetro ci sono anche pezzettini di carne umana. Arrivò un’ambulanza e da lì non ricordo più niente. Al risveglio dell’anestesia la gamba destra non si muoveva, effetti dell’intervento perché una scheggia aveva tagliato il tendine. La cosa che mi spaventava di più era il sangue uscito dalle mie orecchie e finito sul cuscino. Un infermiere mi raccontò cosa mi era successo. Purtroppo non lo sentivo: la membrana del timpano destro è stata completamente frantumata, l’altra fortunatamente è solo lesionata. Ora penso alla sofferenza che deve aver provato mio padre appena saputo dell’attentato, fuori dal pronto soccorso aspettava un infermiere che usciva ogni 15 minuti a dare lettura del nome dei morti. Solo grazie al loro sacrificio io mi sono salvato. Oltre a tre piccole schegge negli arti inferiori, porto con dolore ancora il loro ricordo.

Rientrai in fabbrica quattro mesi dopo, mi salvai dal licenziamento solo perché avevo superato da quindici giorni il periodo di prova. Vengo destinato all’ufficio assistenza e capisco chiaramente che il mio sogno di fare il rappresentante si è oramai frantumato insieme alla vetrina di Taddini& Verza. Questa è la mia storia, una storia di chi c’era realmente.

Marco Cima

La mia compagna: «Sono stati i rossi!». Si sbagliava

Avevo 12 anni nel 1974 e frequentavo la I media in una classe di sole ragazze, perché così usava in quegli anni, perlomeno nella mia scuola, retta da una preside “feldmaresciallo”, un metro e mezzo scarso e un paio di occhiali a fondo di bottiglia sul naso, noi femmine al primo piano, i maschi al pianterreno e nessuna possibilità di incrociarsi nemmeno per sbaglio. Ricordo perfettamente quella mattina, l’anno scolastico volgeva al termine e noi all’alba dell’adolescenza eravamo ovviamente ormai quasi incontenibili, in vista della lunga pausa estiva.

Alla quarta ora avevamo religione, entra il prof, un austero sacerdote per nulla empatico, che serissimo ci invita a tacere e ci dice «È successa una cosa gravissima, è esplosa una bomba in piazza Loggia e ci sono morti e feriti».

In pochissimi secondi ci siamo trasformate da allegre preadolescenti a mute ragazzine spaventate. Quasi immediatamente la mia compagna di banco esclama «I rossi». Ricordo il fastidio immediato a questa sua esternazione, io che di politica nulla sapevo, dato che in casa nessuno ne parlava, anche se ero ben consapevole della profonda radice di destra che permeava l’atmosfera e che io, sia per mia natura che per la giovane età, automaticamente rifiutavo.

Dunque la mia compagna di banco e amica, aveva già capito tutto ed esternato la sua sentenza. Purtroppo per lei, si sbagliava molto, infatti proprio suo fratello qualche giorno dopo venne arrestato e incarcerato in un’altra città perché sospettato di essere coinvolto nel supporto logistico della strage. Non ho più saputo nulla di lei e della sua famiglia, visto che l’anno scolastico successivo non è tornata nella nostra scuola. Da quel giorno, ogni 28 maggio, torno col pensiero a quell’orrendo episodio, che ha violato la mia città e che nessuna sentenza, oltretutto scandalosamente tardiva, ha potuto sanare.

Silvana Bailo

Ci spostammo appena prima dello scoppio

Frequentavo l’istituto magistrale Veronica Gambara, avevo quasi 18 anni. Quella mattina, come spesso accadeva in quel periodo, avevo aderito allo sciopero generale indetto dal Movimento studentesco e dalle organizzazioni sindacali.

Prima dello scoppio mi trovavo sotto i portici, vicino alla fontana, con amici e amiche per ripararci dalla pioggia. Battute, scherzi, ogni tanto qualche coro, passaggio di due classi di bambini della scuola materna con le loro insegnanti suore, sottofondo del discorso del sindacalista Castrezzati contro le violenze fasciste e la conquista dei diritti.

Dopo un po’ di tempo che ero lì col mio amico Oscar, abbiamo detto: «Perché non andiamo a vedere il dolcevita bianco del sindaco ( Bruno Boni )? ». Eravamo sotto il palco, quando ci fu lo scoppio. All’inizio sembrava un tuono, ma subito ci dissero di portarci in piazza Vittoria perché era scoppiata una bomba.

Pensai agli amici e amiche che avrebbero potuto essere ancora vicino alla fontana e decisi di tornare in piazza Loggia.

Quando arrivai vicino alla fontana vidi alcuni corpi straziati a terra.

I funerali furono un momento di grande silenzio, tutti i negozi chiusi, fischi alle autorità politiche e grande commozione al passaggio delle bare.

Ancora adesso quando sento uno scoppio, faccio un salto.

Enzo Roccuzzo

Paralizzata dalla paura, non riuscivo a muovermi

Sono Silvana Gatti, sono nata il 17 febbraio del 1956; il 28 maggio del 1974 avevo 18 anni ed ero all'ultimo anno dell'istituto magistrale Veronica Gambara a poche settimane dagli esami di maturità, frequentavo la classe 4B la mia insegnante di storia e latino era la professoressa Elena Piovani. Quella mattina ero andata alla manifestazione insieme a Lorenzo Meneghini, diventato mio marito l’anno successivo e poi padre di mio figlio Vasco; lui veniva da Berlingo ed io da Gussago, ci siamo incontrati alla stazione dei bus e da lì abbiamo raggiunto piazza Repubblica da dove partiva il corteo della Cgil-scuola, il nostro spezzone.

Arrivati in piazza Loggia ci eravamo riparati sotto i portici, ma io dovevo raggiungere un'amica, Marisa Viviani, che stava anch’essa sotto i portici, ma quelli del Municipio, sul lato opposto. Abbiamo percorso parte del perimetro della piazza e arrivati, io avevo salutato l'amica. Mentre stavamo ritornando là dove c'erano i compagni e le compagne, il boato ci ha colto all'altezza del passaggio verso piazza Vittoria!

Io sono rimasta ferma lì per più di un'ora appoggiata al muro senza riuscire a muovermi! Non ho avuto la forza di andare a vedere, ma nelle ore e nei giorni successivi non riuscivo a stare a casa...ho attraversato la piazza nel pomeriggio e tutti i giorni seguenti.

C’ero alla visita alle bare esposte in Municipio, alle iniziative dei giorni che hanno preceduto i funerali e ai funerali.

Silvana Gatti

Stavo distribuendo i giornali, mi volarono tutti via

Ero una studentessa di 15 anni dell’istituto magistrale. Il 28 maggio 1974 partecipo con i miei compagni alla manifestazione antifascista. Insieme a noi studenti, anche lavoratori, operai, impiegati, insegnanti. C’è grande partecipazione, sono anni caldi. Sta parlando il sindacalista Franco Castrezzati. Alle ore 10,12 il boato, sto diffondendo il giornale del Movimento Studentesco di cui faccio parte, in un attimo tutto sembra impazzito. Lo spostamento d'aria mi fa volare via i giornali, il cielo diventa grigio di fumo le urla della gente. A terra ci sono i corpi, non capisco più niente, corro non so neanche io dove. Le ambulanze all'impazzata. La pioggia... una bomba è scoppiata una bomba... mi ricordo la corsa in via Mameli gli abbracci disperati con le amiche compagne... 15 anni ma la consapevolezza di quello che è successo... La rabbia, i pianti, il senso di privazione di libertà di manifestare... Non voglio lo si debba provare mai più. Grazie a chi ha dato la possibilità di ricordare per non dimenticare.

Nina Modiano

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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