Jacopo Galli, dalla consulenza Onu per Gaza al piano per Mosul

Tra i membri della Urbicide task force, squadra composta da una quindicina tra docenti, dottorandi e ricercatori dell’Università Iuav di Venezia che si occupa di pianificare la ricostruzione di zone di guerra, c’è anche l’architetto bresciano – di Orzinuovi – Jacopo Galli.
Come nasce un progetto ambizioso e innovativo che può cambiare il mondo? «Tutto è iniziato tanti anni fa – spiega Galli – appena iniziata la guerra in Siria grazie alle sollecitazioni di un architetto siriano. Ci siamo interrogati sulla costruzione delle città e abbiamo visto che questo tiene insieme diversi ragionamenti; abbiamo cominciato a collaborare con le Nazioni Unite e abbiamo operato in Libano con la World Bank».
In queste settimane il team sta lavorando anche su Gaza, ma non pensate alle parole di Trump o al video surreale postato mesi fa. Ad interfacciarsi con il team Iuav è l’Undp, United nations development programme regional bureau for Arab states: «Qui la complessità è enorme» dice. Ad aprile due ricercatori sono stati a Ramallah e ci sono rimasti tre mesi: «Ci affidiamo all’Un e ci interfacciamo con l’Autorità Nazionale Palestinese di Ramallah» dice Galli.
Il primo passo è stato «costruire – si legge sul sito dell’ateneo – un database geolocalizzato di tutte le aree disponibili dove organizzare alloggi e servizi a carattere temporaneo, come cellule abitative modulabili ed estendibili e comprendere le possibilità di evoluzione nel tempo dei tessuti urbani ricostruiti. Un’altra parte del lavoro sarà dedicata alla definizione di tecnologie per la realizzazione di strutture modulari leggere realizzabili in tempi brevi e in quantità significative». Per Gaza sono già stati progettati quartieri in grado di ospitare da 10mila a 50mila persone.

Il ruolo dell’Italia
«Abbiamo già parlato con la Farnesina e con Palazzo Chigi che hanno dimostrato la volontà che l’Italia abbia un ruolo chiave nel sostegno del progetto», aveva detto a Repubblica più di un anno fa il rettore dell’ateneo Albrecht ricordando che l’ateneo ha competenze solide sulla ricostruzione.
E aveva aggiunto: «La ricostruzione di Gaza offre la possibilità di utilizzare materiale all’avanguardia, detto off the grid, cioè non collegato alle utenze tramite tubi o cavi (case progettate per essere autosufficienti, producendo autonomamente la propria energia ndr). Per esempio, per il calcestruzzo ci vorrebbe una quantità di acqua incredibile, ma noi oggi abbiamo un materiale in vetroresina che non richiede l’acqua, ma questo è solo un esempio di tantissimi altri esistenti e non ancora utilizzati». Per Mosul, invece, c’è una condizione di pace, ma «la città è molto danneggiata e ci vorranno anni per recuperarla».
Ancora diversa la situazione per il lavoro in Siria, «un luogo di grande speranza e opportunità - dice l’architetto orceano - speriamo in evoluzioni positive».
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