Il tipografo Bartolomini: «Così, di notte, nasceva il Gdb»

«Quando venni assunto, tra tipografi e rotativisti eravamo ben oltre a un centinaio e i giornalisti una ventina, oggi il GdB conta una quarantina di giornalisti, i tipografi sono otto e le rotative sono al Csq di Erbusco in comproprietà con l’Eco di Bergamo». Giovanni Bartolomini, classe 1953, ha lavorato in tipografia per 43 degli 80 anni di vita del Giornale di Brescia, e tra il 1973 e il 2017, data del definitivo pensionamento, ha vissuto in prima persona il radicale cambiamento del mondo dei giornali, in particolare come proto (capo) della tipografia dal 1987.
«Prima di assumere ruoli di coordinamento, per dieci anni ho fatto il linotipista di notte», ricorda. «Le linotype erano una ventina e noi 25 linotipisti si lavorava su due turni: quello pomeridiano preparava la terza pagina, quelle di cultura e della provincia, con due linotipisti addetti solo alla pubblicità». A coordinarli tutti era Giuliano Simonini, mentre il proto Franco Donati seguiva i compositori al banco che impaginavano. Il tutto sotto la supervisione di Franco Maestrini, storico e indimenticato direttore della tipografia.
Le notti in tipografia
Delle sue notti Bartolomini ricorda le chiusure del giornale con il cronista Die Nalli, grande affabulatore e per tutti «il principe della nera», al quale in base alle necrologie raccolte spettava il compito di sistemare la «settima» (pagina) recuperando notizie italiane, sollecitato da tutti a farlo in fretta. Per contratto sindacale si dovevano comporre 140 righe all’ora: «In un turno erano poco più di 800, cioè una pagina perché vigeva il rapporto un tipografo/una pagina…».
«Il lavoro alla linotype era ripetitivo, molto rumoroso e a contatto con il calore della caldaia del piombo – spiega l’ex proto – ma in tutti noi c’era l’orgoglio di fare una professione qualificata, in un giornale, in più c’era sempre da imparare qualcosa perché si doveva leggere quel che si componeva».
I cambiamenti tecnologici
«Il passaggio dalla composizione a caldo alla fotocomposizione negli anni Ottanta è stato un cambiamento radicale – conclude Bartolomini – ma la vera rivoluzione per noi tipografi è avvenuta con l’introduzione del computer in redazione nei primi anni Novanta, con cui i giornalisti hanno potuto man mano impaginare direttamente dalla loro postazione articoli, titoli e foto».

«Di fatto oggi la tipografia si occupa di predisporre i modelli di menabò standard digitalizzati che poi il redattore sceglie, e cura l’assetto grafico finale delle pagine, realizzando quando servono menabò speciali e grafici ad hoc, oltre che supplementi o pubblicazioni particolari del giornale. In ogni caso la tipografia mantiene una funzione fondamentale come interfaccia tra la redazione e il centro stampa di Erbusco», conferma Francesco Lussignoli, che nel 2017 ha raccolto il testimone di proto dal collega. Se questi si era formato agli Artigianelli, lui viene dall’Accademia Santa Giulia: anche questo un segno dei tempi mutati.
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