IL GIARDINO DELLE DELIZIE

Regia: Lech Majewski
Con: Claudine Spiteri, Chris Nightingale, Barry Chipperfield, Maria Novella Martinoli
Genere: drammatico
Distribuzione: Cecchi Gori
Non dà vita ad un quadro, come nello straordinario “I colori della passione” ispirato alla “Salita al Calvario” di Bruegel il Vecchio, ma parte dalla vita per arrivare al quadro, “Il giardino delle delizie” di Hieronymus Bosch, il più inventivo e visionario dei pittori fiamminghi, questo film del 2004 del polacco Lech Majewski che ha impiegato dieci d’anni per arrivare in Italia, meritoriamente fatto conoscere dalla Cineteca di Milano e ora disponibile per quanto amano il cinema intelligente anche se difficile in dvd grazie a Cecchi Gori; per extra, la conversazione con il regista "Film d'amore girato dagli amanti". Una vicenda all’insegna di eros e thanatos che il cineasta, scrittore e pittore polacco ha tratto dal suo romanzo “Metaphysics” e che è ambientata a Venezia, dove arrivano Claudin (Claudine Spiteri), storica dell’arte che adora in particolare il trittico di Bosch ritenendolo la più vicina rappresentazione del Paradiso mai dipinta, e Chris (Chris Nightingale), ingegnere navale che studia le gondole veneziane. I due sono innamorati, ma la donna è malata senza speranza di cancro alla gola e lui continua a filmarla con la telecamera nel tentativo di conservare ricordi ed immagini di lei. Con cui fra amplessi e lezioni di pittura si trova a mettere in scena figure e immagini surreali di Bosch, vedi il rospo sul petto, il bagno nudi nella fontana, l’uovo sul capo, i corpi nella conchiglia qui divenuta valigia, la plastica che come la bolla del quadro avvolge la donna sulla spiaggia o i due in camera… Come tanti altri artisti tra cui Dalì e Magritte (pure citato nel film) affascinato dalle tavole che celano misteri e interrogativi ancor oggi non svelati o senza risposta, Majewski, autore che non si pone limiti e che nel recente “Onirica” ha offerto una personalissima rilettura della “Divina commedia” dantesca, ha girato un’opera ambiziosa e di estrema raffinatezza formale che sfrutta, come già Visconti in “Morte a Venezia“, anche il fascino decadente della città lagunare. Film geniale, ma un po’ freddo nonostante i continui richiami alla morte.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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