I figli di Nerio Fischione: «Papà ha dato la vita per il suo lavoro»

Il racconto di Fabio e Giulia Fischione, figli di Nerio, l’appuntato ucciso nel 1974 da tre detenuti a cui è intitolato il carcere di Brescia
L’appuntato Nerio Fischione aveva 42 anni, lasciò la moglie e due figli di otto e un anno © www.giornaledibrescia.it
L’appuntato Nerio Fischione aveva 42 anni, lasciò la moglie e due figli di otto e un anno © www.giornaledibrescia.it
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Nell’estate del 1974 Giulia aveva 8 anni e il fratello Fabio uno e qualche mese. Bambini che nell’agosto di 50 anni fa restano orfani di padre. L’appuntato di polizia penitenziaria Nerio Fischione che il 5 agosto 1974 nel carcere di Canton Mombello venne preso ostaggio da tre detenuti che cercavano di scappare. Quest’ultimo esplose cinque colpi di pistola verso il 42enne Fischione. Che morirà il 13 agosto in ospedale. Dal 2016 il carcere bresciano è intitolato proprio a Nerio Fischione. «È un grande onore per noi l’intitolazione, ma allo stesso tempo è un grande dolore sapere che il carcere che porta il nome di nostro padre è considerato il peggiore d’Italia».

Cosa ricorda di quel 5 agosto 1974?

Fabio. «Il ricordo di mio padre è tutto nei racconti di mia madre e di mia sorella. Avevo un anno quando morì. Ho vissuto nel mito di mio padre che ho sempre considerato un eroe».

Giulia. «Purtroppo ricordo tutto. Avevo otto anni. Non avevamo il telefono a casa e fu una vicina a venire ad avvertire mia mamma che papà era stato ferito in carcere e che era in ospedale. Lo avevo salutato al mattino e lo stavo aspettando perché mi aveva promesso che saremmo andati al luna park. E invece non l’ho più visto perché anche nei giorni successivi quando era ricoverato mamma aveva deciso che era meglio che non lo vedessi. La mia vita da quel giorno è cambiata per sempre».

La pagina del Giornale di Brescia del 6 agosto 1974 © www.giornaledibrescia.it
La pagina del Giornale di Brescia del 6 agosto 1974 © www.giornaledibrescia.it

Di quanto accaduto in carcere cosa le è stato raccontato?

G. «Avevo capito subito con chiarezza che cosa era successo. Papà quando è stato preso in ostaggio era vestito in abiti civili perché era a fine turno. Ha provato a sbarrare la strada a uno dei tre detenuti chiudendo un cancello con le chiavi e il carcerato sentendosi in un angolo ha sparato. Poi ha lasciato mio padre ferito nel cortile di Canton Mombello per dare un messaggio agli altri agenti: "Se vi mettete in mezzo fate la stessa fine"».

Chi era suo padre Nerio Fischione?

G. «Con papà avevo un rapporto molto forte soprattutto dopo la nascita del mio fratellino che era arrivato dopo anni in cui ero stata figlia unica. Vedevo papà come un eroe: partiva la mattina da casa con la divisa, da Bedizzole andava in bicicletta in stazione e arrivava in città in treno. Amava il suo lavoro e veniva apprezzato da colleghi e detenuti. Era un uomo buono e tranquillo. Dopo la sua morte tanti carcerati ci inviarono lettere e messaggi che però io rifiutavo perché stavo male. Odiavo tutto quello che riguardava il carcere».

L'intitolazione del carcere di Canton Mombello a Nerio Fischione © www.giornaledibrescia.it
L'intitolazione del carcere di Canton Mombello a Nerio Fischione © www.giornaledibrescia.it

Come è stato il periodo successivo all’omicidio di suo padre?

G. «Ricordo il giorno del funerale, il picchetto d’onore nel cortile del carcere, le carezze che mi fecero i vari rappresentanti delle istituzioni. Ricordo i racconti di un collega di mio padre che dopo l’omicidio diede le dimissioni perché sotto choc. Lo Stato non è mancato con noi. Anche dal punto di vista economico. Nove anni dopo però abbiamo vissuto un altro dramma in famiglia perché anche mia madre è morta. Ha lottato con il cancro e si è arresa quando io avevo 17 anni e mio fratello nove. Sono sicura che la sofferenza che mia mamma ha provato per la morte di mio padre ha contribuito a rendere più fragile il suo fisico. Io ho interrotto gli studi per poter fare da mamma a mio fratello»

F. «La morte di mamma è stato un altro momento drammatico. Io venni affidato a mia sorella anche se lei era ancora minorenne. Diciamo che dal punto di vista dei genitori non siamo stati fortunati. Papà a me è mancato molto soprattutto in alcune fasi della vita, quando avrei voluto avere un confronto con un genitore che però non c’era. Avrei anche voluto fare il suo stesso lavoro, l’agente penitenziario. Mi sarebbe davvero piaciuto tanto, poi ho fatto scelte diverse».

Quante volte ha pensato al detenuto che sparò a suo padre?

F. «Da bambino a volte venivo preso in giro perché ero orfano, mentre da adolescente mi è montata la rabbia per quanto accaduto a mio padre. Volevo sapere dove fossero finiti i tre detenuti che quel giorno volevano scappare e soprattutto colui che aveva sparato. Poi crescendo sono diventato fatalista e mi sono detto che forse doveva andare così. Che papà si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ad un certo punto ho anche pensato che forse il detenuto ha agito perché spaventato».

G. «Chi aveva esploso i colpi di pistola disse che aveva mirato alle gambe di mio padre, ma non ho mai creduto a quelle parole anche perché venne raggiunto al torace. Anni fa quando ero con i miei figli e mi è capitato di incontrare un carabiniere oggi in pensione. Mi raccontò che proprio lui con altri due colleghi aveva fatto la scorta al detenuto che aveva ucciso mio padre, quando da Brescia lo trasferirono al carcere dell’Asinara. Gli dissero: "State attenti, è pericoloso. È quello che ha ucciso Fischione"».

Dal 2016 il carcere di Brescia è intitolato a suo padre Nerio Fischione.

F. «Sono brescianissimo e anche per me il carcere è Canton Mombello però ci tengo molto che venga chiamato con il nome di oggi: Nerio Fischione. È stata una grande emozione quando nel 2016 ci fu l’intitolazione ed è un onore. Mio padre amava il suo lavoro ed è morto per il suo lavoro. Certo, fa male sapere che è il penitenziario più sovraffollato d’Italia. È inaccettabile. Serve un nuovo carcere e spero che la nuova struttura possa portare ancora il nome di papà».

G. «È una grande emozione. Mio padre ha dato la vita in quella struttura. È stato un esempio per i colleghi, per i detenuti e anche per noi figli. Il 5 agosto ha segnato per sempre la mia vita. Nel bene e nel male. Perché proprio il 5 agosto è nato il mio terzo figlio che oggi ha 18 anni. Ho sperato fino all’ultimo che il termine non fosse proprio in quella giornata che consideravo maledetta. E invece dico che è stato un segnale. Un messaggio di papà che mi ha fatto fare pace con quella data».

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