Per poco non abbiamo avuto Gardaland a San Polo: la meteora Hobbyland

«Una specie di Disneyland in sedicesimo», dicevano le cronache dell’epoca. «Sta nascendo per bambini un parco divertimenti sull’acqua», strillava il Giornale di Brescia. Non era Gardaland (anche se l’insegna ricalcava lo stesso stile gotico, che poi si ispirava a quello del primo Disneyland): si chiamava Hobbyland e sorgeva sul laghetto di San Polo.
Per ricordarselo bisogna essere stati almeno bambini negli anni ‘70. Era infatti il 1977 quando il fondatore di Gardaland Livio Furini progettò a Brescia un parco tematico che aveva l’ambizione di pareggiare e superare il fratello maggiore in provincia di Verona. Non andò benissimo: già nel 1980 giunse la drastica decisione di chiuderlo. Nei pochi anni di apertura, in ogni caso, attirò numerosi bresciani e bresciane che videro così i primi rudimentali animatronics e che si divertirono su grandi battelli. A un certo punto passò anche Mike Bongiorno con il tour di «Giromike ‘79». Ma il parco non superò mai la dimensione del grande luna park di quartiere.

La storia di Hobbyland
Come riporta l’Enciclopedia Bresciana, Hobbyland era un «Centro di divertimento e sportivo aperto a San Polo in via Casotti 15 il 6 agosto1977, su 180mila mq di area e un laghetto». Il laghetto era il fulcro di tutto: prima di ospitare Hobbyland era conosciuto come lago per la pesca sportiva e si chiamava «Hobby Brescia».

A disegnarlo fu Livio Furini, il fondatore di Gardaland, appunto, che dopo aver realizzato il parco divertimenti gardesano ispirato a Disneyland uscì dalla società per supportare altri siti ludici. Furini ebbe più di una discussione con gli altri soci fondatori di Gardaland fin dai primi mesi di apertura del parco, come conferma Jacopo Lazzarini, content creator ventiduenne esperto di parchi tematici. «Pare avessero idee divergenti su come sviluppare il piano di investimenti futuri. E così se ne andò e aiutò a riproporre il modello Gardaland a Brescia con Hobbyland. Forte della sua esperienza aprì anche la ElettronicAnimazione, un'azienda che si sarebbe dovuta occupare dello sviluppo di nuovi parchi».
Il progetto
Furini arrivò a San Polo per soddisfare una richiesta: rendere il laghetto di San Polo un parco attrattivo tanto quanto Gardaland.
Se però Gardaland era una sua idea originale che curò dall’acquisto del terreno e dalla ricerca dei soci, Hobbyland richiedeva semplicemente un progetto per lanciarlo sulla scia del successo del primo. Gli investitori erano bresciani, ma anche milanesi e veronesi.

Secondo quanto racconta una delle due figlie di Furini, Elena Margherita, Livio qui pensò di realizzare un po’ come per Gardaland una serie di attività scenografiche che attirassero grandi e piccoli attraverso l’integrazione tra il reale e l’artificiale, tra la natura e le scenografie. La sua firma e cifra distintiva era proprio l’arricchimento della realtà naturale con elementi di stupore.
Il Lago di Garda in miniatura
Livio Furini era bravissimo in questo, ma soprattutto era molto prolifico dal punto di vista delle idee (e delle acquisizioni). La figlia ricorda che dopo Gardaland acquistò diversi terreni e aprì diverse società: i progetti erano concreti, ma talvolta troppo ambiziosi. Per esempio, propose di costruire un Lago di Garda in miniatura a San Benedetto di Lugana.

A Serniga di Salò stava invece per sorgere Euroland. Funghi giganti, fiori, elementi pop, animali con meccanismi mobili e tante altre sculture in vetroresina (quelle che produceva la ElettronicAnimazione) furono portate lì, ma la morte prematura di Furini portò alla chiusura di tutti i progetti. Scomparve infatti nel 1987 dopo una brevissima malattia.
Le attrazioni di Hobbyland
Elena Margherita – che è un’insegnante d’arte e artista e che da giovane lavorò con il padre – all’epoca della fondazione di Hobbyland aveva quindici anni: partecipò anche al taglio del nastro del 6 agosto 1977.

Ciò che ricorda più di tutto sono gli isolotti in polistirolo sui laghetti: ospitavano le scene zoologiche e antropologiche che i visitatori osservavano da alcuni battelli ed erano ricoperti di vera erba e vere piante.

La principale attrazione del parco erano proprio questi isolotti, insieme ai battelli che trasportavano gli adulti e i bambini sull’acqua. Sulle isole artificiali c’erano scene animali o antropologiche: degli iceberg con pinguini e quelli che all’epoca venivano definiti eschimesi (i popoli indigeni delle zone artiche come gli Inuit e gli Yupik); un villaggio africano; un’isola dei pirati e un’isola dei templi Inca. Le scene erano imprecise e stereotipate (un villaggio era chiamato «dei selvaggi»), ma per gli anni ‘70 si trattava pur sempre di un primo approccio di intrattenimento divulgativo.

C’erano poi il brucomela per bambini, un trenino, una fun house (il castello magnetico), un fortino Far West, dei pedalò, un mulino antico ad acqua ricostruito dall’ingegner Bruno Cingano e un tendone per gli spettacoli circensi, aree picnic. E ancora: dei trenini su gomma che faceva il giro del lago e alcuni trenini più piccoli su rotaia per la zona delle giostrine e del Far West. All’ingresso c’erano un giardino dei mandorli e un mini-zoo, come andavano di moda all’epoca.

C’era, soprattutto, un albero di Tarzan che attirava parecchi sguardi. Secondo Lazzarin il manichino si muoveva: era probabilmente l’unico animatronic del parco, anche se dire animatronic – ovvero animale robot – è improprio.
Come spiega Marco Bressan, un altro esperto di parchi divertimento (per passione, ma anche perché è scenografo e progettista di parchi tematici: ha un’azienda specializzata, la Ozlab di Udine), animatronic veri non ce n’erano. «Nemmeno Gardaland all’epoca aveva animali meccanici sofisticati. I primi veri robot arrivarono con la Valle dei Re». C’erano però, a Hobbyland, personaggi animati con movimenti pneumatici e automatici. Non solo Tarzan, ma anche alcuni animali africani.

Il safari, da Gardaland a Hobbyland
Come racconta sempre Bressan, a proposito degli animali va detto che gran parte delle scenografie erano una replica esatta di quelle di Gardaland. «Lo scenografo napoletano Alfredo Laino della Elle Due Studio», spiega, «fu chiamato da Furini prima per Gardaland – con il compito di realizzare tutte le scenografie in vetroresina – e poi per Hobbyland. Gli stampi erano gli stessi: ippopotami, scudi africani, dettagli…».

Per l’epoca, tuttavia, per quanto replicati e per quanto semplici tutti gli ambienti erano suggestivi: prima non esistevano e il pubblico non aveva mai visto nulla di simile. Secondo Bressan, quindi, Hobbyland non era all’avanguardia, è vero, ma aveva il pregio di essere più scenografico di Gardaland.
Cosa c’era a Gardaland negli stessi anni
Hobbyland dunque languiva proprio di questo. Di avanguardia. L’inaugurazione di Gardaland risaliva, come accennato, a pochi anni prima (era il 1975). Anche lì le attrazioni erano primitive e rudimentali, ma molto più articolate: per l’epoca erano qualcosa che non si era mai visto.
Nel 1976, per esempio, già comparve la prima ballerina, «Ufo», e nello stesso periodo si poteva già fare il viaggio su canoa per il Safari e salire sul simulatore spaziale. E addirittura c’era la possibilità di fare un’escursione ai Canyon in sella a un vero cavallo (prima che arrivassero i vagoncini da miniera).

«Anche a Gardaland non si può ancora parlare di giostre futuristiche», sottolinea Lazzarini, «se ci pensiamo l’orologio fiorito all’ingresso era ancora una delle attrazioni preferite, ma Hobbyland era indubbiamente più limitato».

Le ragioni del flop
All’arretratezza delle giostre vanno aggiunte la vicinanza con Gardaland, che non giovò al parco, e la quantità più esigua di pubblicità. «L’inaugurazione di Gardaland fu un evento enorme», ricorda Lazzarini, «quella di Hobbyland rimase più locale. La gente poi preferiva le attrazioni di Gardaland, lì a due passi». E così, anche se non nacque come parco di quartiere, alla fine rimase meta per le famiglie bresciane e poco più.

Le aspettative erano altissime: le cronache dell’epoca addirittura riportavano, prima dell’apertura, la fantomatica costruzione di una dark house che replicava una centrale nucleare in miniatura. Non ce n’è traccia. Probabilmente la società cambio idea durante la costruzione del parco. Nella brochure distribuita nel parco si parla però della «Centrale solare», che si presentava come attrazione (per l’epoca era qualcosa di effettivamente innovativo) e che in realtà era un semplice impianto fotovoltaico della Ariston che mostrava come produrre energia prendendola dal sole.

La chiusura
«Hobbyland chiude i battenti»: così titolò il Giornale di Brescia l’articolo del 10 febbraio 1980 che annunciava la chiusura del parco divertimenti. Le ragioni, secondo chi scriveva, erano di natura economica: investimenti troppo ingenti e un aumento del passivo che hanno portato in pochi anni alla drastica decisione di abbassare definitivamente la serranda.
Non senza rammarico: a quanto pare a Cesare Pelucchi – il «Gianni Agnelli dei parchi divertimento», uno dei soci fondatori e proprietari di Hobbyland e già presidente di Gardaland (fu tra i primi soci nel 1975) – dispiacque molto.

Lo disse anche a Bressan durante una chiacchierata: «Era impegnato con Gardaland e quindi non riusciva a dedicarsi a Hobbyland come gli altri soci, ma quando si tirarono indietro decidendo di chiudere fu per lui un dispiaere. Il parco secondo lui aveva potenziale, tanto che c’era già un progetto di ampliamento». La città non avrebbe quindi avuto solo un Gardaland bresciano, ma anche un enorme parco acquatico.
Ora dove c’era Hobbyland c’è la Discoteca Paradiso.
Secondo Bressan il locale ha mantenuto parte della planimetria del parco, almeno per quanto riguarda la parte del teatro all’aperto e del ristorante. «La pista da ballo ricalca quella dell’anfiteatro, se ci pensiamo. Ma in generale chi aveva costruito la discoteca si era trovato tutto pronto: parcheggi asfaltati, un laghetto suggestivo… Si vocifera che Tarzan sia rimasto lì per anni».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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