Giulia Hartz, l’illustratrice pop che parla di ansia, social e identità

Colori pastello, un’ironia tagliente ma al contempo gentile, e quell’immaginario girly pop che sembra leggero solo in apparenza. Il lavoro di Giulia Hartz è una bomba di sfumature e rimandi alla cultura anni Novanta, ed è capace di raccontare una generazione, le sue paure, i desideri e i riti quotidiani: l’iperconnessione, il bisogno di leggerezza, una certa eco ansia e l’attivismo verso un mondo più inclusivo. Un linguaggio visivo immediato, giocoso, fatto di illustrazione digitale e parola, che affonda però le radici in una riflessione lucida sul presente e sui suoi codici.
Nata a Gardone Riviera nel 1994 e oggi di base a Berlino, Hartz ha costruito con rara naturalezza una pratica ibrida che intreccia illustrazione, graphic design e strategic thinking. Ogni immagine funziona come una micro-storia, un dispositivo narrativo che parla di identità, relazioni, consumi e auto-rappresentazione. Questo approccio l’ha portata a lavorare anche come content creator per diversi brand sviluppando campagne, packaging, visual storytelling e contenuti pensati per il digitale, in cui l’illustrazione diventa linguaggio editoriale e strumento di posizionamento. Una capacità di parlare chiaro, con anima leggera ma in una dimensione fortemente autoriale, che ha fatto incontrare il suo segno con realtà come Tinder, Instagram, Nike, Adobe, Oatly, Crocs e Aeg.
Giulia, quando ha cominciato a illustrare?
Ho sempre disegnato, però quando mi sono trasferita a Berlino ho iniziato a illustrare sul mio sketchbook in modo un po’ più serio. Berlino era la mia città sogno. Qui ho seguito un master in Strategic Design: prima avevo studiato Design del Prodotto al Politecnico di Milano. Il master mi ha portato molto a visualizzare, ed è una cosa che mi ha sempre divertita.
In che modo il disegno l’ha aiutata, anche sul piano personale?
In quel periodo non stavo benissimo: avevo una depressione non diagnosticata ed era molto difficile navigare i miei pensieri. Ho cominciato a illustrare anche come modo per tranquillizzarmi: mi calmavano molto penne, pennelli, pennarelli, il fatto di fare un’azione e vedere un risultato immediato. E poi lo usavo per esternare i miei pensieri e soprattutto per riderci sopra.
Il suo lavoro sa essere leggero e divertente, anche quando tocca argomenti delicati: da dove arriva questo humor?
C’è sempre stato molto humor nelle mie illustrazioni. Inizialmente, i temi che trattavo erano la salute mentale e il mio stato d’animo, ma li rappresentavo sempre in modo ridicolo, un po’ come il “Riddikulus”, l’incantesimo di Harry Potter che ci insegna che si può ridere anche di quelle che sono le nostre più grandi paure.
Quando arriva Instagram, e quando si definisce davvero il suo stile?
Ho iniziato a condividere le illustrazioni su Instagram circa un anno dopo, e nel frattempo ho sperimentato diverse tecniche analogiche e digitali. Poi ho finito l’università e ho trovato lavoro in un’agenzia a Berlino: quando il mio capo ha visto che sapevo disegnare mi ha comprato un iPad, per creare illustrazioni anche per loro. Quando è arrivato l’iPad, tutto è cambiato: i pezzi si sono uniti. Mi sono resa conto che avevo trovato una palette colori che aveva senso, ho cominciato a usare un determinato font e ho trovato la mia linea. È diventato uno stile finalmente consistente, rispetto a prima.
Come si costruisce dunque una community?
Ho cominciato, ogni domenica, a condividere tre wallpaper illustrati su Instagram che potevano essere screenshottati dai miei follower gratuitamente. Ho iniziato quindi a costruire la mia audience e la community, ho aperto il mio shop e sono arrivate le prime collaborazioni con i brand.
Oggi si affianca anche a un collettivo di storyteller: perché?
Lavoro con «LOIS - the visual storyteller collective» da giugno di quest’anno, come content creator e illustratrice. In questo settore, quando si ha una grande mole di lavoro, spesso ci si affida a un’agenzia o a un manager per gestire il carico. Io però mi colloco all’intersezione tra illustrazione e content creation, e dunque ho sempre fatto fatica a trovare una realtà che andasse bene per me. Il collettivo LOIS per me è perfetto perché posso lavorare con persone che vengono dal mondo del design e dell’agenzia creativa, ma in un contesto super creativo, storyteller-based.
La collaborazione con un brand più amata?
Ce ne sono tante che ricordo in modo romantico, ma la mia preferita è stata quella con Nike dell’anno scorso. Mi piace dipingere oggetti e mobili, un giorno mi è venuta l’idea di customizzare una scatola classica Nike. Stavo leggendo un libro sul suo fondatore, in cui raccontava come avesse scelto l’arancione per rendere il proprio packaging più visibile accanto alle classiche scatole blu dei competitor. Su Instagram ho chiesto se qualcuno a Berlino avesse una scatola del genere da regalarmi: una ragazza mi ha risposto chiedendomi quante ne volessi, e ho scoperto che lavorava all’headquarter Nike di Berlino. Ho quindi customizzato la scatola e l’ho postata su Instagram. Due mesi dopo ricevo una mail: mi chiedono di partecipare alla prima mostra ufficiale su Nike al Vitra Design Museum di Basilea. Proprio quel video che avevo postato su Instagram è stato esposto in mostra ed è stato stupendo, perché Nike è il mio brand preferito. Questa è la mia dream story.

Desideri per il futuro?
Il mio progetto è continuare a fare le cose che faccio, sempre meglio, con una rete di collaboratori e collaboratrici. Ho uno studio condiviso con altri freelance. Vorrei continuare a raccontarmi: sono molto proattiva, e voglio continuare a fare il mio lavoro al meglio che posso.
Torna spesso a casa?
Ultimamente un po’ di più. Non è sempre facile tornare a casa da expat, ma sento che mi sto riconciliando con questa cosa. La cosa strana è che te ne vai a una certa età, ma quando torni non sei più la persona che eri, anche se per tante persone sei ancora quella che conoscevano. Ma quest’anno tornerò sicuramente un po’ di più, è una promessa.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@I bresciani siamo noi
Brescia la forte, Brescia la ferrea: volti, persone e storie nella Leonessa d’Italia.
