Giulia Butturini capitana e dottoressa: esempio in campo e in corsia

Giulia Butturini ha chiesto di pubblicare fotografie che non la ritraessero mai da sola, e questo fa capire molto della discrezione con cui da anni interpreta il ruolo di capitana dell’Ateam Collebeato, trascinato negli ultimi dieci anni a suon di promozioni dalla Terza divisione alla C di pallavolo. La centrale residente a Urago Mella, 26 anni, non si è mai sentita protagonista e ha fatto della cultura del gruppo il tratto essenziale della propria esperienza nel club in cui gioca da ragazzina.
In palestra
Delle compagne di una volta non è rimasta nessuna, perché nel tempo l’asticella si è alzata sempre più, e le altre non sono riuscite a trasformare un semplice passatempo in un impegno irrinunciabile. Giulia, invece, è sempre andata avanti dopo aver vissuto ogni fase della crescita del Collebeato, proiettato in pochi anni dalla realtà di sconosciute palestre gelide d’inverno e roventi d’estate, molto spesso senza docce e senza sedie dove poggiare le borse, a moderni palazzetti, raggiunti con il bus societario e con lo speaker che annuncia i nomi delle giocatrici.

Allora come oggi Giulia Butturini è rimasta la stessa, e cioè un’atleta che ha fatto dell’attaccamento alla maglia il suo mantra. «È la prima che confermiamo ogni anno – racconta Marco Bendotti, direttore sportivo del club –. La ragione è semplice, questa ragazza è la storia del Collebeato». Al punto tale da aver accettato anche la condizione di non essere più titolare inamovibile da quando in estate il club è stato costretto a un massiccio ricorso al mercato per restare competitivo anche in C.
Ora i suoi punti più importanti la capitana li segna fuori dal campo, quando c’è da stare vicina alle compagne in difficoltà. Dà l’esempio più luminoso in allenamento, momento in cui si impegna al massimo ogni settimana, anche se sa che con ogni probabilità il sabato non sarà in campo.
«Non credo ci vogliano tante parole per essere convincenti – spiega –. Conta il modo in cui ci si comporta». E una ragazza poco utilizzata fa poche storie se vede che la sua capitana non si lamenta neppure quando non gioca un solo minuto. È successo nell’ultima partita casalinga, giocata contro il Vallesabbia. Claudia Bonera – da anni protagonista in C – e Paola Colombi (che vanta esperienze anche in B) davano tale affidamento che il tecnico Enrico Peli non ha ritenuto necessario l’ingresso di un’altra centrale. Allora Giulia si è resa utile in altri modi: in un time-out ha tirato fuori un rotolo di caramelle che, tra un incoraggiamento e l’altro, ha distribuito alle compagne per stemperare la tensione.
«Questo è il meno – scherza –. Il guaio è quando mi interpellano a ogni ora per motivi professionali». Perché Giulia è un medico, si è laureata nel 2023 e si sta specializzando al Civile come pediatra. «I bambini? Sono meravigliosi. Mi dà più problema – sospira – qualche compagna ipocondriaca che mi interpella a ogni piccolo dolore».
Premiata
Ben altre soddisfazioni ha ottenuto nel suo lavoro la dottoressa Butturini, cui è stata assegnata di recente la menzione d’onore dalla giuria del premio Eleonora Cantamessa 2024, istituito per ricordare la ginecologa investita nel 2014 dopo essersi fermata per prestare soccorso a una persona picchiata ai bordi della strada.
Da anni, infatti, Giulia è medico volontario dell’associazione Atleti al tuo fianco, voluta dal chirurgo e psicooncologo bresciano Alberto Tagliapietra per affiancare campioni dello sport a malati di cancro nel loro percorso verso la guarigione. Nella sua doppia veste di atleta e di medico Butturini porta la propria esperienza per far comprendere quante affinità ci siano tra chi lotta per la salute e chi lotta per la vittoria. Entrambi hanno bisogno di essere sostenuti dalla forza del gruppo e non vanno mai lasciati soli. Frequenti gli incontri cui partecipa, da ognuno dei quali esce arricchita dal punto di vista professionale e soprattutto umano.
Ci sono momenti, però, in cui il suo entusiasmo viene messo a dura prova. «La prima dote di chi svolge la mia professione – spiega –, è l’empatia. Al tempo stesso devi sempre tenere la giusta distanza nel rispetto dei ruoli. Ma quando ti trovi tra i malati di cancro un bambino, il peso diventa insostenibile ed è difficile non farsi coinvolgere». E allora, sul suo volto, quel sorriso che le compagne del Collebeato conoscono bene si spegne.
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