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Erika Rigamonti: «Mio zio Mario incarnava la voglia di tornare a vivere»

La nipote del bresciano, eroe del Grande Torino scomparso nella tragedia di Superga, lo ricorda così: «Fu un giovane estremamente volitivo. Era socievole, vivace, non particolarmente appassionato allo studio»
Mario Rigamonti, bresciano, difensore del Grande Torino - © www.giornaledibrescia.it
Mario Rigamonti, bresciano, difensore del Grande Torino - © www.giornaledibrescia.it
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La banalità non è mai stata di casa nella famiglia Rigamonti. Se Mario fu eroe del Grande Torino, il fratello Gino fu medico chirurgo, lottatore (specialità lotta greco-romana) e partecipò alle Olimpiadi di Londra del 1948. Pierpaolo, padre di Erika, è stato invece medico a Parma, ma pure collezionista d’arte.

«Mio papà mi ha sempre detto che ho la stessa testa calda dello zio Mario», racconta la cinquantatreenne, riportando le parole del proprio genitore.

Ricordi

La donna non ha mai conosciuto il calciatore, scomparso il 4 maggio 1949 nella tragedia di Superga. E, per qualche tempo, non ha amato parlarne. «Da ragazzina, soprattutto - racconta -. Ma pure dopo. Vedevo che l’argomento suscitava sempre grandissima commozione negli interlocutori, e la cosa non mancava di mettermi un po’ a disagio. Ho ancora in mente un matrimonio al quale fui ospite. Il padre della sposa, scoperto di chi ero nipote, smise di parlare con la figlia e mi tempestò di considerazioni e domande».

Per Erika crescere con un cognome «da campioni» è stato normale. «Oggi, però, sono felice e orgogliosa delle mie origini - racconta -. E dei tanti tratti distintivi dei Rigamonti. Tra questi, anche l’antifascismo».

Ritratto

Dalle voci dei famigliari, dai vissuti e dai ricordi, emerge un ritratto affatto banale di Mario, difensore centrale nato il 17 dicembre 1922, vincitore di quattro scudetti con la squadra granata (al termine delle stagioni 1945-1946, 1946-1947, 1947-1948, 1948-1949). «Fu un giovane estremamente volitivo - racconta la nipote -. Oltre al calcio, adorava la motocicletta che si era comprato. Era socievole, vivace, non particolarmente... appassionato dello studio. Amava trascorrere serate piacevoli. Una specie di viveur, ma in senso buono. Incarnava - sostiene Erika - quella voglia di tornare a vivere con un po’ di leggerezza, tipica del secondo dopoguerra».

Da giovanissimo, in casa, era già attratto dalla palla. «Ciascuno dei fratelli aveva delle mansioni - racconta ancora la cinquatatreenne -, ma lui tendeva a prendersela comoda, e giocava a tirare una pallina da tennis contro il muro». Dal canto proprio, Erika è cresciuta a Parma e lavora a Milano. Brescia è un posto che però frequenta poco. Il 25 settembre sarà qui per presentare il proprio libro. Affatto banale, da buona Rigamonti, sa incantare quando parla. Una ragione in più per fare un salto al Mo.Ca.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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