Come nasce un violino, viaggio nella liuteria Fasser di Brescia

Barbara Fenotti
Prima di essere suono uno strumento è un insieme di gesti: tagliare, piallare, piegare, misurare. Nella bottega di via Fratelli Ugoni lavorano anche una collaboratrice dall’Australia e una dal Messico
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Filippo Fasser, la storia di un liutaio
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Prima di essere suono uno strumento è un insieme di gesti: tagliare, piallare, piegare, misurare. Nella bottega di Filippo Fasser il violino comincia così, immerso in un odore di resina che sa più di officina che di concerto. La liuteria appare per quello che è davvero, vale a dire la fucina di un lavoro paziente che tiene viva giorno dopo giorno la tradizione bresciana degli strumenti ad arco.

Il laboratorio

Nel laboratorio di via Fratelli Ugoni entrano l’abete rosso delle foreste di Val di Fiemme o del Tarvisiano, l’acero dell’Est Europa. Tutto si muove con una logica che non ha nulla di nostalgico: ogni scelta è tecnica, ogni passaggio richiede precisione. «Uno strumento nasce nell’arco di mesi e siamo in grado di produrne tra gli 8 e gli 11 pezzi l’anno» spiega Fasser, che ha dato vita alla sua attività dopo aver frequentato la scuola professionale di Cremona, dove si è diplomato nel 1988.

Uno scorcio della bottega Fasser - © www.giornaledibrescia.it
Uno scorcio della bottega Fasser - © www.giornaledibrescia.it

Ha aperto il suo primo laboratorio nel 1992 in Rua Confettora, poi nel ‘94 ha traslocato in via Paitone e nel 2012 si è stabilito nella sede attuale, in via Fratelli Ugoni. La sua passione per la liuteria non affonda le radici nella famiglia – composta per lo più da ingegneri e architetti – ma dalla passione per la musica e per il lavoro manuale.

È ai modelli della scuola bresciana che Fasser è legato quasi in esclusiva. Lavora sui Gasparo da Salò, sui Maggini, su quelli della famiglia De Micheli di Montichiari. In questi giorni, per esempio, sta realizzando i calchi originali ispirati ai modelli di Pellegrino De Micheli. Una scelta controcorrente, la sua: in un mondo dove molti guardano a Cremona, lui guarda a casa propria, ma con un tocco internazionale.

Dall’Australia e dal Messico

Nella bottega di via Ugoni è infatti affiancato da due collaboratrici provenienti da molto lontano: Kate Poulton, australiana, e Ibiza Avalos, messicana, da cinque anni in Italia. Due percorsi geograficamente lontanissimi, i loro, ma vicini per passione.

Kate Poulton, liutaia che si è trasferita a Brescia dall'Australia, al lavoro - © www.giornaledibrescia.it
Kate Poulton, liutaia che si è trasferita a Brescia dall'Australia, al lavoro - © www.giornaledibrescia.it

Poulton ha iniziato a 23 anni in Australia, dove la liuteria era un campo di frontiera. Ha imparato spostandosi di bottega in bottega, fino alla decisione di venire in Europa. «Qui la liuteria è un linguaggio, non un hobby» racconta. Nel 2010 arriva in Italia, nel 2018 entra nel laboratorio di Fasser.

Avalos ha un metodo diverso: lavora due giorni a settimana in via Ugoni e il resto del tempo nella sua attività a Cremona. Nel laboratorio di Fasser, attualmente, sta costruendo un violoncello. «Dipende tutto dal legno: se è più duro o più flessibile cambia il tempo di lavoro – spiega mentre maneggia sgorbie e scalpelli –. Occorrono dai tre ai cinque mesi per un violoncello, due-tre per un violino o una viola».

La liutaia Ibiza Avalos arriva dal Messico - © www.giornaledibrescia.it
La liutaia Ibiza Avalos arriva dal Messico - © www.giornaledibrescia.it

Mentre racconta piega le fasce, il primo gesto che definisce la futura estetica dello strumento con l’aiuto di acqua, calore e vapore. «Da qui in poi – dice – si vede già quello che sarà il risultato finale».

Mestiere lento, mercato veloce

Il paradosso è che questo mestiere lentissimo si muove dentro un mercato rapidissimo. Già nel Cinquecento la liuteria era globale: strumenti che viaggiavano, musicisti che giravano le corti europee. Oggi non è poi così diverso. «Non esiste un mercato locale – puntualizza Fasser –. Il suono viaggia più della pubblicità». Le commissioni gli arrivano da fiere, da associazioni, dagli albi professionali. Ma soprattutto – come accade da secoli – dal passaparola: un musicista prova un violino in orchestra, lo consiglia a un collega, e così gli arriva un ordine dall’altra parte del mondo.

Il liutaio è un mestiere antico e di fine artigianato - © www.giornaledibrescia.it
Il liutaio è un mestiere antico e di fine artigianato - © www.giornaledibrescia.it

Nulla dentro al laboratorio è standard. Ogni strumento è una serie di micro-decisioni: lo spessore della tavola, la regolarità delle fibre, il taglio dell’anima, la vernice che protegge e allo stesso tempo modella la voce. Quello del liutaio è un mestiere che richiede disciplina, ascolto, pazienza. Non c’è niente di romantico nel senso vago del termine: c’è una bellezza robusta fatta di tecnica e continuità. È in questa combinazione – modelli del Cinquecento, legni che crescono lenti, mani che arrivano da tre continenti diversi – che la bottega di Fasser trova la sua identità. Non protegge il passato: lo rimette in circolo.

Ogni strumento che esce da via Ugoni è un pezzo di storia che guarda più avanti che indietro, e forse è proprio questa la cifra della liuteria bresciana oggi: costruire oggetti che devono saper suonare nel futuro, con la consapevolezza che il tempo, qui, non si conserva ma si lavora.

Brescia, città di liutai

Fasser a oggi è uno dei 6 liutai presenti a Brescia, una città che con questo universo ha una certa confidenza fin da tempi remoti. Nel Cinquecento e nel Seicento c’era un piccolo «distretto» della liuteria nella centralissima Quadra di San Giovanni, in centro: un groviglio di vie dove si concentravano botteghe, laboratori, organari, costruttori di viole e violini. Era un quartiere vivo, frequentato da musicisti e da artigiani che rifornivano non solo la città ma le corti di mezza Europa.

Qui lavorava anche Giovanni Paolo Maggini, il più importante liutaio bresciano della sua generazione, autore di strumenti che oggi sono considerati imprescindibili. Quella stagione si interruppe bruscamente nel 1630, quando la peste travolse Brescia e uccise buona parte degli artigiani, compreso lo stesso Maggini. Le botteghe chiusero o si spostarono, e per anni, dalla metà del ‘700 in poi, la tradizione sembrò destinata a spegnersi. Ma la città non rimase vuota a lungo: altri maestri arrivarono, riaprirono laboratori, riportarono gli strumenti ad arco nelle contrade. È da quelle ripartenze, più che dall’epoca d’oro, che prende forma la continuità su cui lavorano anche i liutai di oggi.

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